Meritocrazia non è una brutta parola

di Dino Perrone



Nel Paese dei troppo furbi, anche un test di ammissione ai corsi universitari diventa oggetto di illecito ‘mercato’. Nessuna meraviglia per questo. Ma tanta indignazione. Almeno quella. Ed un invito pressante: la classe politica, prendendo esempio dal mondo artigiano, abbia il coraggio di tornare ad esaltare il merito.


Cari associati,
la vicenda relativa al mercato dei test per l’accesso alla facoltà di Medicina, scoppiata a Bari e con propaggini in altre università italiane, è già scivolata fuori dalle prime pagine dei giornali e, soprattutto, cosa questa davvero grave, dalla coscienza civile del nostro Paese.
Ed è un peccato perché si tratta dell’ennesima occasione sciupata per guardare senza infingimenti ai mali che attraversano la coscienza civile dell’Italia.
Un Paese, il nostro, che fa sempre più fatica a mantenere viva nel tempo la propria capacità di indignarsi. Viviamo di fiammate, per poi tornare ad annacquare il tutto nell’indifferenza o peggio nella rassegnazione.
Siamo insomma un Paese che sembra ormai considerare ‘normale’, fisiologico, ciò che è patologico e deve restare fuori dalle regole.
Non è affatto normale, infatti, essere disposti a spendere fino a 50mila euro, come apprendiamo dalla stampa, solo per accedere a studi universitari che dovrebbero essere molto impegnativi e selettivi. Chi è disposto a sborsare certe cifre, pur di truccare le carte in tavola, è chiaro che ha la convinzione di poter poi vincere la partita. Ovvero di laurearsi, con tutti i guasti conseguenti.
E certamente non è tranquillizzante, per noi cittadini, pensare che in giro possono circolare medici che, da studenti, hanno potuto far ricorso a scorciatoie di questo tipo.
D’altronde, di cosa meravigliarsi ?
L’alto tasso di disoccupazione, la presenza di un sistema di istruzione inadeguato ai tempi, le perduranti difficoltà nell’accesso alla formazione e poi al mercato del lavoro costituiscono, tutti insieme, un forte ostacolo sulla strada della realizzazione umana e professionale delle giovani generazioni. C’è chi a tutto questo reagisce rispettando le regole e chi, invece, di queste regole se ne infischia.
Nessuna meraviglia, quindi. Ma tanta indignazione. Almeno quella.
Quanto capitato con i test di ammissione alle facoltà universitarie ci porta dritti al cuore del problema del nostro Paese.
L’Italia stenta in tanti campi perché in tanti, troppi campi, non si è più capaci di porre mano ad una selezione seria. Perché tanti, troppi, nel nostro Paese considerano la meritocrazia quasi una brutta parola.
Ed invece noi artigiani possiamo dirlo a ragion veduta: non si realizza nulla lì dove non c’è merito, non c’è sacrificio, non c’è capacità di mettersi in gioco.
La classe politica italiana deve puntare all’eccellenza, valorizzando il patrimonio di uomini, idee e strutture presenti nel Paese. Puntare all’eccellenza, attraverso una selezione seria, un lavoro di scrematura che consenta ai migliori di andare avanti, che non li ostacoli, che non li costringa a cercare all’estero quello che non trovano nel proprio Paese.
Occorre insomma por mano alla costruzione di un sistema in cui si esalti il merito, senza dimenticare di avere attenzione al bisogno.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che il mantenimento dell’occupazione dipende sempre più dalle capacità professionali e che il sistema di istruzione e di educazione non deve trascurare la formazione umana e tecnica per svolgere con profitto le mansioni richieste. Ciò è ancora più vero in presenza di un periodo storico, come l’attuale, in cui vi è necessità di cambiare varie volte lavoro nell’arco della propria vita.
Nell’enciclica Laborem exercens Giovanni Paolo II invita i giovani a diventare capaci di assumersi responsabilmente il compito di affrontare con competenze adeguate i rischi legati ad un contesto economico che si presenta mobile e spesso imprevedibile nei suoi scenari evolutivi.
Quanti hanno cercato aiuti di ogni tipo semplicemente per superare i test di accesso alle facoltà universitarie vanno nella direzione diametralmente opposta a quella indicata nella richiamata enciclica. Essi difficilmente saranno, un domani, bravi medici. Ma già oggi possiamo dire che si sono dimostrati pessimi cittadini.





 


Archivio


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI