Quella indifferenza che rende tutto invisibile

___________________________________di Dino Perrone

 
E’ proprio questo il ‘male oscuro’ che sta consumando la nostra società. Un atteggiamento distante ed inerte che ci rende incapaci di preoccuparci per gli altri e di indignarci dinanzi ad ogni forma di ingiustizia.
 
Siamo ancora in grado di indignarci ? Siamo ancora in grado, come Paese, di preoccuparci degli altri ?
Francamente, osservando come certe notizie, anche tragiche, scivolano via quasi nell’indifferenza generale, qualche dubbio è lecito cominciare a nutrirlo.
Sembra infatti non toccarci più nulla. Sembra che quasi nulla più ci riguardi.
Un paio di esempi, giusto per uscire dal generico.
Qualcuno si ricorda ancora di Emlou Arvesu, la donna filippina uccisa a pugni lo scorso 6 agosto in una strada di Milano da Oleg Fedchenko, pugile dilettante ucraino, senza un perché e soprattutto senza che nessuno sia intervenuto per sottrarla a quella follia omicida ?
L’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, nei giorni successivi al delitto, scrisse una lettera alla famiglia della signora Arvesu in cui invitava la cittadinanza a ‘testimoniare l’anelito sincero e l’impegno operoso di tutti perché la violenza omicida sia vinta da un tessuto sociale che sa esprimere e vivere legami di sincera compassione, di vera comunione, di solidarietà e di integrazione’.
Parole nobili e nel contempo severe. Parole rivolte appunto ad un ‘tessuto sociale’ sempre più slabbrato e che certo non riguarda solo il capoluogo lombardo. Parole come un argine della coscienza teso a costruire un contesto civile ‘dove tutti si sentano responsabili di tutti’.
E’ questo il punto. Sentirsi responsabili, avere cura degli altri. Solo così è possibile stare insieme, solo così possiamo sentirci legati, come singole persone e come Nazione.
Invece, nulla ci tocca, nulla ci riguarda.  Tutto ci scivola addosso in maniera indifferente, come gocce di pioggia sui vetri.
Secondo esempio.
In piena estate, autorevoli statistiche venute fuori elaborando i dati dell’Istat hanno certificato che il 10% degli italiani con età compresa fra i quindici ed i ventiquattro anni dichiara di non studiare, di non lavorare né di essere in cerca di lavoro. Innalzando sino a ventinove anni l’età oggetto dell’indagine si arriva a ricomprendere oltre 900mila giovani italiani in queste poco allegre condizioni.
D’accordo, eravamo in estate, per l’esattezza addirittura a cavallo di Ferragosto, per cui una certa disattenzione a temi così delicati e ‘pesanti’ poteva essere comprensibile.
Ma questa disattenzione, eccoci al punto, dura ancora oggi. Essa impedisce l’elaborazione di una vera coscienza civile che ci porti, come Paese, oltre le sacche dell’indifferenza e dell’egoismo sociale.
Questa disattenzione alla disoccupazione giovanile, che in particolare nel Sud supera ormai il 50%, rischia di portare al collasso ogni seria programmazione. Eppure nessuno si allarma, nessuno si preoccupa. Soprattutto, nessuno interviene.
Cosa lega un tristissimo episodio di cronaca ed una elaborata indagine socio-economica ?
Semplice. Proprio il nostro atteggiamento. Identico in entrambe le occasioni.
Un caso singolo e tragico, quello della signora Arvesu. Un caso nazionale, quello dei giovani che non studiano, non lavorano né si impegnano a cercarlo.
Di fronte ad essi restiamo noi, come singoli cittadini e come italiani. Chiusi nella nostra egoistica indifferenza, personale e sociale. Una indifferenza che, rendendo invisibili i problemi, in realtà ci sta facendo diventare completamente ciechi.
 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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