Quanto ancora? Nessun lo sa

___________________________________di Dino Perrone

 

 

Nerbo dell’intera economia italiana, le piccole e medie imprese stanno pagando un prezzo pesantissimo alla crisi del Paese. Il loro declino, se non adeguatamente contrastato, rischia di segnare la fine di ogni seria prospettiva di sviluppo

Quanto ancora ? Nessuno lo sa.
Un anno, due, forse magari dieci. Oppure drammaticamente pochi mesi. Per quanto ancora le piccole e medie imprese italiane saranno in grado di reggere l’urto squassante della crisi?
A questa domanda, appunto, non c’è risposta chiara.
Non risponde il governo, che di suo ha serissimi problemi di tenuta.
Non rispondono i partiti che troppo spesso, in passato, hanno manifestato un sostanziale disinteresse per le sorti di un comparto che pure, nell’immediato dopoguerra, è stato uno dei protagonisti principali del cosiddetto “miracolo italiano”.
Non hanno tempo di rispondere persino gli imprenditori, perché troppo impegnati in una lotta per la sopravvivenza oramai quotidiana. E forse di rispondere non ne hanno pi๠neppure tanta voglia, constatando come i loro allarmi non hanno mai trovato adeguata attenzione.
Quanto ancora, dunque ? Nessuno risponde, nessuno lo sa.
Eppure gli attuali affanni hanno nomi ben precisi.
Nomi che da anni sono sempre gli stessi e che si chiamano pressione fiscale elevatissima, burocrazia soffocante, declino delle infrastrutture, stretta creditizia, ritardi della pubblica amministrazione.
Ognuno di questi nomi, anzi di questi mali, chiama a sua volta in causa precise responsabilità  politiche per scelte economiche che si sono rivelate scellerate.
La piccola e media impresa ha pertanto serie ragioni, non solo per continuare a preoccuparsi del proprio futuro, ma anche per manifestare sfiducia nei confronti di un Paese che non riesce mai a fare squadra. Che si divide su tutto. Che guarda sempre all’interesse contingente. Che sembra avere abbandonato quella tensione morale necessaria per delineare un qualsiasi futuro.
Quante volte abbiamo ascoltato discorsi incentrati sulla necessità  di alleviare il carico fiscale e di fare in modo di tornare ad erogare credito alle imprese, per consentire che entri in circolo danaro fresco in grado di favorire nuovi investimenti e livelli occupazionali adeguati.
Quante volte si è posto l’accento sull’obsolescenza delle infrastrutture che in un Paese come il nostro, pi๠lungo che largo, rendono difficile far muovere le merci e persino le idee, inceppando le iniziative imprenditoriali ed allontanando gli investimenti esteri.
Quante volte si è messo nei programmi dei vari governi il punto relativo allo snellimento della macchina burocratica, oggi al limite del collasso con un sistema di norme e regolamenti capace di mutare persino da regione a regione, ingenerando incertezze interpretative ed applicative che rallentano il passo dell’intero Paese.
Tante, tantissime volte si è discusso di questi nodi. Ma poche, pochissime mani si sono mostrate capaci almeno di provare a scioglierli.
La conseguenza è che viviamo in una economia ingessata, nella quale vi è sempre minore spazio di manovra per le piccole e medie imprese che, oltre a registrare riconoscimenti unanimi per il loro ruolo, non riescono ad andare.
Eppure nel contesto attuale, caratterizzato da una crisi economica e sociale che rischia di devastare non solo le tasche ma addirittura l’animo delle persone, ritengo che nessuno possa seriamente pensare che sia completamente priva di valore ed interesse la quotidiana lezione che, nonostante tutto, ci arriva dal piccolo e medio comparto imprenditoriale italiano.
Una lezione di decenza, anzitutto. Di attaccamento a solidi valori. Di etica della responsabilità . Ma anche di mirabile capacità  di coniugare ingegno e flessibilità , superando l’originaria dimensione familiare o addirittura molecolare per dare vita alla formazione di veri e propri distretti industriali specializzati.
Questa capacità  di mutare pelle, adeguandosi alle esigenze di una economia che si misura su scala internazionale e non pi๠solo domestica, ha reso possibile raggiungere nuovi mercati, accettare nuove sfide e persino vincerle in molti casi. E quasi sempre, è bene sottolinearlo, tutto ciಠè avvenuto senza aiuti pubblici.
Per questo oggi è intollerabile il generale disinteresse che si registra attorno al futuro delle piccole e medie imprese.
La loro lezione non deve andare smarrita. Altrimenti, con essa, è destinata a tramontare ogni seria e praticabile prospettiva di sviluppo di un Paese che invece vuole solo rimettersi in piedi per poter riprendere a correre.


 

 

 
 
Dino Perrone
Presidente Nazionale ACAI