Nel buio la luce.

 

Pronunciamo la parola Natale e, subito, vengono alla mente le immagini offerte dal racconto dei Vangeli: una grande luce che appare sulla terra, il canto di pace degli angeli, i pastori che adorano il bambino che è nato, Maria e Giuseppe che lo contemplano.

Tutto questo è vero e fa parte del mistero del Natale. Ma non si può dimenticare il contesto oscuro in cui tutto ciò avviene: un viaggio faticoso da Nazaret a Betlemme, i rifiuti ricevuti da Giuseppe che cerca un posto dove possa nascere il bambino, il freddo della notte, il disinteresse con cui il mondo accoglie il figlio di Dio che nasce. E su tutto questo grava una pesante cappa di grigiore, di incredulità, di superficialità e di scetticismo, frutto delle gravissime ingiustizie presenti allora nel mondo. Non si può dire che il contesto del primo Natale fosse solo luce e serenità: era piuttosto un contesto di oscurità, di dolore e anche di disperazione.

Oggi – come allora – viviamo in un tempo particolarmente oscuro e difficile: «un periodo amaro, pieno di fragori di guerra, crescenti ingiustizie, carestie, povertà e sofferenza. Fame» ha ricordato papa Francesco in una recente omelia; siamo – certifica il Censis nel suo ultimo Rapporto – un popolo di demotivati, delusi, stanchi, depressi.

Non sappiamo dire se il nostro contesto sia più oscuro e pesante di quello del primo Natale.

La notte

Crediamo, però, che nella notte viene la luce. È così nel Natale del Signore: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno vinta.

Proprio nella notte, infatti, può esserci una grazia nascosta, un mistero di benedizione nella nostra esistenza che prende forma nelle domande, in una pausa rigenerante, in una possibilità di cambiamento, nella riscoperta di certi valori della vita. La notte del dolore o del dubbio può aprirsi alla luce della scoperta se la attraversiamo con la luce della fede e ci arrendiamo al Dio che è capace di squarciare ogni tenebra.

La luce

Nella notte che viviamo si possono cogliere tre “sprazzi di luce” portati dal Natale da recuperare e abbracciare con maggiore consapevolezza.

La fragilità

Il primo consiste nel prendere coscienza che «la fragilità è il nostro destino: la possiamo detestare perché ci impedisce di sentirci più forti, oppure accoglierla per sentirci più umani» (G.Pani). La pandemia e la guerra ci hanno fatti scoprire e sentire fragili, mentre nel nostro delirio di onnipotenza pensavamo di avere tutto sotto controllo. Ma non è un bambino appena nato il massimo della fragilità da custodire? E non è questo Dio l’antitesi di tutti i nostri miti di grandezza e potenza, se sceglie di farsi uomo e di nascere bambino in una grotta? Possiamo – allora – imparare a benedire la fragilità, come luogo che si rende ospitale per accogliere Dio e la sua Parola, avendo egli stesso scelto la via dell’abbassamento, nascendo nella carne e morendo sulla croce. E quando avremo benedetto la nostra fragilità, saremo anche diventati più umani.

– La sobrietà

Altro bagliore di luce è la riscoperta del valore della sobrietà. La frenetica società dei consumi – spingendoci a desiderare il superfluo – restringe la nostra visuale e ci consegna alla nervosa agitazione degli acquisti. Così «celebriamo una festa, forse l’unica che ancora celebriamo con intima convinzione, ma ci stiamo lentamente dimenticando del festeggiato! Insomma, una festa della nascita di Gesù ma senza Gesù! Celebriamo una festa in cui l’unico a mancare è il festeggiato» (A.Matteo).

Possiamo, invece, contemplare Gesù che nasce in una cornice essenziale e semplice: una grotta, dei pastori, un villaggio sperduto in cui Lui vivrà trent’anni. Un po’ di sobrietà – liberandoci dal tarlo velenoso dell’ansia di accumulare – ci può far riscoprire il gusto dell’essenziale, la bellezza delle cose semplici, delle cose che nella vita contano davvero.

La solidarietà

Infine, la crescita del senso di solidarietà. La semplicità del Natale – che ci fa riscoprire l’importanza della fragilità e il valore della sobrietà – ci indica che la vita acquista significato e sapore quando ci apriamo all’amore. Da soli non possiamo farcela: è la grande lezione della pandemia e, paradossalmente, anche quella del Natale. Adoriamo un Dio che è Dio-con-noi, che stabilisce relazioni, desidera raggiungerci, si apre all’incontro.

Auguri

Il Natale ci aiuti a ripartire allargando nella società il senso della solidarietà tra gli uomini, recuperando l’importanza delle relazioni umane sviluppando un più evangelico senso della giustizia e dell’attenzione ai poveri. Proviamo a vincere il pudore dei sentimenti e l’inerzia delle mediazioni già pronte, cerchiamo di ritornare all’origine dei nostri desideri di affetto e vicinanza e sarà anche per noi una vera nascita.

Il Natale ci parla di un Dio solidale con gli uomini che ci chiede di accoglierlo anzitutto nel volto degli altri: «Non adesso, forse, ma prima o poi arriverà una storia in cui capiremo che ognuna delle nostre ossa è impastata con il sudore di tutti, viene dal pallido freddo in cui un miracolo ha bucato il nulla ed è cominciato il mistero in corso, la vita di ognuno ora così tremante e bisognosa di soccorso.

Non adesso, forse, ma capiremo che non dobbiamo sprecare il tempo che passiamo assieme, il tempo di un sorriso, di una passeggiata. Guardiamoci, parliamoci con bella, commovente serietà. Curiamoci». (F.Arminio).

A tutti voi fraternamente Buon Natale.

 

Don Antonio  Mastantuono
Consulente Ecclesiastico Nazionale ACAI