Il potere di acquisto delle famiglie è in lieve aumento proprio mentre cala leggermente il tasso di disoccupazione. Due buone notizie per un Paese che però ha bisogno di ben altri segnali positivi per uscire definitivamente dalla crisi
Una recente rilevazione dellIstat certifica che il potere di acquisto delle famiglie italiane, nel secondo trimestre del 2015, risulta in aumento dello 0,2% sul trimestre precedente e dell1,1% su base annua. Alleluja.
Inoltre, lo scorso agosto il tasso di disoccupazione si è attestato all’11,9%, registrando con ciò un calo per il secondo mese consecutivo.
Di nuovo alleluja.
In dodici mesi, certifica ancora lIstat, la disoccupazione è diminuita in misura tale che oggi dovrebbero esserci 162 mila persone in meno in cerca di lavoro.
Sempre lIstat ci rammenta che erano due anni e mezzo che il tasso di disoccupazione non scendeva sotto la soglia del 12%. L’11,9% di agosto è infatti il risultato più basso registrato a partire da febbraio 2013.
Certo a guastare un poco il trend positivo ed il cima di crescente euforia governativa c’è sempre il dato sulla disoccupazione giovanile che invece è tornata a salire di 0,3 punti. Ma non si può avere tutto e subito, diamine !
Non sarà certo una piccola sbavatura negativa in questo profluvio di statistiche tutte positive a rendere meno sicuro lincedere del governo in carica, specie ora che si appresta a mettere a segno, pur con qualche resistenza, anche la riforma del Senato.
Queste rilevazioni dellIstat sono incoraggianti, certo. Guai tuttavia a considerarle del tutto appaganti.
Continuo infatti a ritenere che la definitiva uscita dal tunnel di una crisi iniziata nellormai lontano 2007 resti ancora piuttosto lontana.
Dico questo perché, al netto di un certo ostentato ottimismo di pura facciata, osservo un Paese ancora gracile e convalescente ed incerto sul percorso da compiere.
Dico questo perché il mio lavoro ed il mio ruolo mi portano troppo spesso a contatto con un apparato statale sempre prigioniero di una sua asfissiante burocrazia a cui si affianca un carico fiscale insostenibile.
Affermo questo perché troppe volte le nostre imprese, specie quelle di piccole e medie dimensioni, si trovano con enormi bastoni tra le ruote. Bastoni che è difficile rimuovere e che rendono oltremodo pesante il lavoro di tutti quegli imprenditori che vogliono restare sul mercato, garantire i livelli occupazionali ed accrescere quel necessario clima di fiducia che può nascere solo dalle conquiste e dalle cose concrete di ogni giorno.
Denuncio tutto ciò perché troppe volte ho visto la delusione dipinta sul volto di chi, pur lavorando con una passione e una serietà che non ha limiti, non viene mai premiato, se non con mille elogi e tanti apprezzamenti a voce.
Ed allora non sono daccordo con il premier Renzi quando, pur intestando al suo Jobs Act tutti questi segnali positivi registrati dallIstat, riconosce che cè ancora molto da fare.
Non cè molto ancora da fare, signor Presidente del Consiglio. Cè moltissimo, quasi tutto ancora da fare.
I dati statistici che si registrano in queste settimane sul fronte delleconomia e delloccupazione, come detto, incoraggiano. Ma non possono bastare. Ci vogliono altri scossoni positivi per ridestare le mille energie sopite del nostro Paese.
Più infrastrutture per le famiglie come per le imprese, più ricerca, più innovazione. Meno fisco, meno burocrazia, meno lentezze decisionali. E riforme capaci di rendere più leggera la vita dei cittadini nel loro rapporto con le istituzioni. LItalia ha bisogno di tutto questo. Per ritrovarsi, ripartire davvero e tornare a credere in se stessa.
Cè ancora moltissimo da fare, ripeto.
Bisogna vedere a questo punto, però, se sono ancora in molti, nel nostro Paese, coloro che sono in grado di volerlo e poterlo fare.
Dino Perrone