Il vero costo della politica

___________________________________di Dino Perrone

 
In tanti ritengono che tagliare gli stipendi ai parlamentari sia la strada maestra, o perlomeno il primo passo, per ridurre certi eccessi del sistema dei partiti. Ma è davvero così ?
 
 
In queste settimane è tornato prepotentemente d’attualità il tema relativo al costo eccessivo della politica italiana.
Questione certamente non nuova, che anzi ciclicamente si ripropone appunto nei periodi di crisi, finendo tuttavia per restare impigliata nei fili della retorica e del facile populismo.
Anche stavolta temo che sarà così. E che quindi non cambierà granché.
Come definire altrimenti la fin troppo ‘generosa’ gara, che peraltro credo sia ancora solo agli inizi, che vede numerosi autorevoli parlamentari proporre il taglio di uno, forse due, magari tre loro stipendi, o comunque una riduzione dell’importo degli stessi nell’ordine del 15%?
Del resto, come è stato sottolineato da più parti, anche in caso di simili tagli il risparmio reale resterebbe poco più che una briciola rispetto ai costi globali della politica.
La questione tuttavia, espunta da questi eccessi populistici, resta molto concreta.
La politica è infatti largamente la prima azienda italiana, con un numero di addetti ed eletti che supera quota 180mila unità. Il suo costo economico complessivo è pari a quello di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna messe insieme. I nostri partiti costano al contribuente oltre duecento milioni di euro all’anno, contro gli appena 73 della vicina Francia.
A conti fatti, è proprio il caso di dire, siamo il paese europeo che ha la rappresentanza politica non solo più numerosa, ma anche più pesante per le tasche dei cittadini.
Detto questo, ed allo scopo di non partecipare a certo vuoto furore demagogico, mi preme sottolineare che non mi scandalizza affatto quello che comunemente viene definito ‘professionismo politico’, caricando questa definizione di una accezione negativa proprio in riferimento a tutti i benefici economici sottintesi.
La garanzia di un compenso per svolgere l’attività politica resta infatti una conquista della nostra democrazia che, come tale, merita di essere sempre rispettata.
Il vero costo della politica, a mio parere, non è rappresentato dalla diaria, peraltro oggettivamente corposa dei nostri parlamentari. E neppure dall’eccessivo numero di ore di volo degli aerei blu.
Il vero costo è un altro.
Certamente esso riguarda anche la scomposta duplicazione delle strutture, degli incarichi, delle prebende e delle indennità. E si esplica anche attraverso la miriade infinita di piccoli, grandi, a volte persino odiosi ed inconfessabili privilegi.
Ma il vero costo insostenibile, quello su cui si dovrebbe poter incidere in profondità, riguarda la drammatica inadeguatezza dei risultati che vengono conseguiti da un sistema, come quello attuale, che ha perso progressivamente gran parte della sua efficacia.
Intendo dire che oggi il vero costo della politica è rappresentato dalla sua sostanziale incapacità di assumere decisioni. Di risolvere problemi. Di indicare una direzione e delineare il futuro.
E si tratta di un costo che non può essere corretto o limitato attraverso una semplice sforbiciata agli stipendi ed alle indennità.
E’ un costo che paghiamo tutti, ogni giorno.
E’ un costo che incide pesantemente non tanto sulle nostre tasche, ma sulla nostra stessa vita. Ne compromette la qualità. Ne mortifica il valore.
E’ un costo che deriva, in larga misura, dai criteri posti alla base della selezione della nostra classe dirigente. Criteri, evidentemente, che hanno fatto il loro tempo.
In anni ormai lontani, prima e più ancora che una professione, la politica era considerata una missione.
Oggi che la politica è una professione, essa deve essere vista anzitutto come un servizio ai cittadini. E come tale è possibile giudicarla, facendo appunto un raffronto fra costi e risultati.
Ebbene, sono convinto che chiunque di noi è disposto a pagare di più, pur di avere un servizio adeguato.
Ma quando il servizio non è adeguato, pure se non dovesse costare nulla ci sembrerebbe sempre uno spreco inutile e dannoso.
Insomma un disservizio, anche quando non intacca le nostre tasche, resta sempre un disservizio.
Forse è anche così che può spiegarsi il crescente astensionismo alle varie consultazioni elettorali. Come un pragmatico segnale di rifiuto per qualcosa che non è più all’altezza delle aspettative.
 

 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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