Festa di san Giuseppe 2022

In un clima segnato da un lato dalla speranza di aver superato, non senza fatica, il lungo tempo della pandemia, e dall’altro dalle notizie di morte che giungono dall’Ucraina, siamo invitati a sostare per celebrare la festa di San Giuseppe patrono degli artigiani.

Una sosta breve, ma necessaria, per guardare e apprendere dal “coraggio creativo” (papa Francesco) di san Giuseppe come “accogliere la vita” anche quando questa ci presenta il suo conto di fatiche, di delusioni e di inspiegabilità.

Queste immagini ci dà di lui il vangelo:

«Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati […] Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1, 18-21. 24-25).

Di fronte ad avvenimenti di cui non comprendiamo il significato – la pandemia, la guerra, una crisi familiare – la nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Anche Giuseppe ci prova – pensa di allontanare Maria nel segreto -, ma poi si abbandona al sogno e al progetto di Dio e grazie all’amore accoglie Maria e una possibilità diversa di vita. Lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Anche noi, se non faremo altrettanto, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni.

«(I magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto» (Mt 2, 13-14).

 

«Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”. Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno“» (Mt 2, 19-23).

Questi due brevi testi evangelici ci parlano anche del rapporto di San Giuseppe con il suo mestiere di artigiano:

è un lavoratore che non perde il senso della vita. Lo si comprende dalle azioni, dalle scelte in cui mette in discussione il proprio lavoro per difendere la moglie-madre e il figlio. Per ben due volte Giuseppe è costretto a lasciare tutto – la bottega, il laboratorio, i clienti -, quando, avvertito in sogno da un angelo, fugge in Egitto per salvare il figlio dalla strage programmata da Erode, e poi quando – passato il pericolo e di nuovo avvertito dall’angelo in sogno – lascia l’Egitto per tornare a Nazaret. In terra straniera aveva trovato casa per la sua famiglia, aveva ricominciato il suo lavoro, sicuramente con fatica…. Ma, all’improvviso, è disposto ancora una volta a lasciare tutto, e a ricominciare, per custodire la sua famiglia, il figlio, per farlo crescere.

Torna là dove tutto era iniziato e Nazaret diventa il luogo della sua quotidianità, delle sue relazioni stabili, della sua responsabilità di padre, di lavoratore, di cittadino, continuando ad insegnarci:

  • il valore del prenderci cura, non solo nel rapporto tra le generazioni, ma anche come modalità di intendere il lavoro, l’economia, la proprietà, la responsabilità;
  • a benedire il nostro tempo, l’unico che abbiamo, perché è il tempo migliore possibile, quello che il Padre ha voluto per noi;
  • a recuperare il valore, del silenzio, il valore del vuoto che lascia spazio alle domande e alle risposte, il valore della fragilità umana che non è da riparare ma da accogliere, il valore della speranza, dono da custodire e trasmettere al mondo.

Come san Giuseppe, che nei crocevia essenziali della sua storia ebbe il coraggio di salvare ciò che era più importante, così noi, abitanti di questo passaggio della storia, impariamo a discernere che cosa dobbiamo salvare e che cosa dobbiamo lasciare.

don Antonio