Dopo la festa, ritorni il lavoro

________________________________di Dino Perrone

 
 Celebrato il Primo Maggio, è auspicabile che non cali l’attenzione sui temi dello sviluppo e dell’occupazione. Avendo sempre a mente, come ha ricordato la Conferenza Episcopale Italiana, che in Italia ci sono otto milioni di persone a rischio povertà

E’ sempre più difficile, in questi nostri tempi così sfilacciati e vuoti, mantenere intatto il valore di certe celebrazioni senza rischiare di svilirle in una ritualità poco partecipata e convincente.
Anche la Festa dei lavoratori, anche il Primo Maggio ha corso e corre questo rischio. Quello cioè di ridursi ad uno stanco canovaccio dove l’impegno, la denunzia e la protesta hanno uno spazio ben definito ma sempre meno incisivo.
Ed allora è proprio il caso che di questa festa, appena andata in archivio per il 2017, si tengano ben presenti nei mesi a venire le sollecitazioni che sono venute dal messaggio che la Conferenza Episcopale Italiana, attraverso il segretario generale mons. Nunzio Galantino, ha voluto rivolgere in questa occasione all’intera società italiana.
La CEI, dati alla mano, non ha mancato di rimarcare come il lavoro rimanga una vera e propria emergenza nazionale, certamente non alleviata dalla leggera inversione di tendenza registrata negli ultimi anni.
“Otto milioni di persone a rischio di povertà, spesso a causa di un lavoro precario o mal pagato, più di 4 milioni di italiani in condizione di povertà assoluta.”. E’ su questi dati che rischia di andare in frantumi la tenuta sociale del Paese. E’ su questa emergenza che si gioca la credibilità della classe politica nel suo complesso.
Non a caso la CEI ha sottolineato come , “non sarà possibile nessuna reale ripresa economica senza che sia riconosciuto a tutti il diritto al lavoro e promosse le condizioni che lo rendano effettivo”.
Mettere al primo posto il lavoro è importante “non solo per le persone, ma per la tenuta etica e morale della nostra nazione”, ci ha opportunamente ricordato il segretario generale della CEI, mons. Nunzio Galantino, sottolineando come “il lavoro che manca finisce per privare di senso la vita delle persone” e bollando come “logica diabolica” quella “finanziarizzazione dell’economia” che “ha fatto diventare il lavoro uno dei modi per fare soldi”.
Ed allora, finita la festa, resti l’attenzione al lavoro.
Celebrato come giusto che sia il Primo Maggio, permanga alta l’attenzione alle tematiche occupazionali. Specialmente in una realtà come la nostra nella quale i giovani che, con un brutto ma efficace acronimo inglese, vengono definiti “neet” (not in education, employment or training), vale a dire coloro che non studiano, non lavorano e neppure lo cercano più, continuano purtroppo a rappresentare una fetta grossissima della popolazione, collocandoci all’ultimo posto in ambito europeo.
Stiamo parlando di oltre due milioni di giovani tra i 15 ed i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e che non seguono corsi di formazione professionale.
Un numero enorme di persone che gli studiosi della materia definiscono anche nuovi “analfabeti lavorativi”.
Bisogna recuperare al più presto questa forza lavoro che invece, dopo aver abbandonato il percorso dell’istruzione, rischia di scivolare fuori dai confini del mercato occupazionale e di non contribuire al sistema previdenziale.
Occorre evitare il rischio che questo esercito non solo non si assottigli, ma che con il tempo si trasformi in un elemento di disoccupazione strutturale che nessuna forma contrattuale futura, per quanto “creativa” ed innovativa possa essere, sarà poi in grado di assorbire.
Per fare ciò, appare proprio necessaria quella che sempre la CEI, nel presentare i contenuti della Settimana Sociale che si svolgerà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre prossimi, ha definito una “conversione spirituale che può davvero fare ripartire l’intero Paese”. Conversione che permetta a tutti di tornare ad apprezzare l’integralità dell’esperienza lavorativa, oggi invece troppo svalorizzata da logiche di mero profitto e sfruttamento.
Un modo virtuoso per aprire la strada alla “promozione della nuova imprenditorialità, espressione della capacità d’iniziativa dell’essere umano, via che può vedere protagonisti soprattutto i giovani”.
La Conferenza Episcopale Italiana ha ricordato che “al di là dei numeri, sono le vite concrete delle persone che devono stare a cuore a tutti noi”.
Su questo credo che nessuno possa avanzare obiezioni. Da questo assunto, allora, occorre ripartire per restituire un senso, ogni giorno, al lavoro di ognuno. 


 


Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI