Correre in salita o ruzzolare a valle

________________________________di Dino Perrone

 
 
L’Italia rimane alle prese con le distorsioni di un sistema fiscale che grava eccessivamente sulle imprese e penalizza i lavoratori. E’ dunque più che mai urgente un disegno complessivo che affronti i nodi che impediscono la crescita del Paese

La cosiddetta “manovrina di primavera”, varata dal governo Gentiloni per racimolare i 3,4 miliardi di euro utili a correggere i conti del 2017 attraverso nuovi tagli alla spesa ed il recupero dell’evasione fiscale, contiene gelidi spifferi che in realtà hanno ben poco di primaverile.
Una manovra “fuori stagione”, quindi ? Direi piuttosto una manovra che rischia di rivelarsi “fuori sincrono” con le esigenze profonde del Paese sul versante della crescita e dello sviluppo. C’è da augurarsi che le cose migliorino in sede di conversione del decreto legge ma, allo stato, il quadro complessivo è oggettivamente poco incoraggiante.
Del resto, a guardare bene anche lo stesso Def, ci si rende conto che a fronte di una stima di crescita del Prodotto interno lordo all’1,1% per l’anno corrente, le previsioni per il prossimo biennio non ci schiodano dal punto percentuale secco. Insomma, non stiamo più fermi, fortunatamente non andiamo neppure indietro, ma continuiamo ad avanzare piano e soprattutto in salita.
In salita, lungo un sentiero stretto e con una serie di zavorre pesantissime sulle spalle. Provo ad elencarne qualcuna.
Come calcolato dalla Corte dei Conti, negli ultimi quarant’anni il peso del fisco sul nostro Prodotto interno lordo è cresciuto del 67%. Una enormità.
La nostra magistratura contabile colloca il peso delle tasse italiane ben quattro punti sopra la media dell’Unione europea con una pressione fiscale che, sebbene inferiore di mezzo punto percentuale rispetto a due anni fa, resta comunque collocata al 42,9% del Prodotto interno lordo.
E’ facile a questo punto osservare che sul tema, in questi anni, i vari governi hanno molto chiacchierato e poco decurtato.
A ciò si aggiunge il cuneo fiscale, la differenza cioè tra il costo del lavoro a carico dell’imprenditore e il reddito netto che rimane nella busta paga del lavoratore. In questo caso siamo attestati ad un gravosissimo 49%, una sforbiciata che supera di ben dieci punti l’onere che viene registrato mediamente tra gli altri Paesi dell’Unione europea. In queste condizioni è difficile restare competitivi e rafforzare la domanda interna. Non a caso in questi giorni il governo sta valutando varie ipotesi di taglio del cuneo per i nuovi assunti e comunque per i redditi fino a quarantamila euro, a conferma che si tratta di un punto nodale per il rilancio della nostra economia.
E poi, altra zavorra che non si riesce ad alleggerire, la ruggine bizantina della burocrazia. Sempre secondo l’analisi della Corte dei Conti, l’onere degli adempimenti fiscali è quantificabile in 269 ore lavorative, il 55% in più rispetto al costo medio europeo.
Al riguardo hanno profondamente ragione quanti non esitano a parlare di una vera e propria “tassa occulta” tutta a carico delle imprese, in special modo di quelle di piccole e medie dimensioni. Basti pensare che una attività artigianale svolta senza dipendenti, per onorare le varie scadenze, è chiamata a pagare o inviare documentazioni al fisco per trenta volte nel corso di dodici mesi. Un vero e proprio stillicidio che, per una piccola impresa industriale con cinquanta dipendenti, si dilata addirittura ad 89 volte. Più che di adempimenti, dinanzi a questi numeri, sarebbe opportuno parlare di accanimenti. E di vero e proprio stoicismo imprenditoriale.
Ricapitolando. Carico fiscale che pesa eccessivamente sulle imprese, lavoratori enormemente penalizzati dai prelievi di contributi ed imposte. Questi sono appunto i limiti e le distorsioni con le quali si misura l’economia italiana e che appesantiscono il passo lungo il sentiero della ripresa.
La strada rimane in salita. Come rimane il rischio di ruzzolare nuovamente a valle. Bisogna allora affondare i piedi nel terreno, saldare i punti deboli, ritrovare nuovi slanci.
Per fare tutto ciò, appare necessario avviare una stagione di revisione del sistema che poggi su basi chiare e condivise, evitando di procedere con interventi parziali, se non addirittura improvvisati, che non riuscirebbero di certo ad incidere sugli squilibri di fondo. Occorre insomma un disegno complessivo capace di condurci oltre le secche dell’esistente.
Ma la politica italiana di oggi, nel suo complesso, ha la forza e la capacità per affrontare tutto questo ?
Lasciatemi, per favore, il beneficio del dubbio. Di un doloroso quanto preoccupato dubbio.

 


Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI