Donne e lavoro: ancora troppe discriminazioni

di Dino Perrone

 


Nel nostro Paese la presenza di tante normative a tutela delle donne, ed in particolare della loro maternità, paradossalmente può seminare di ostacoli il loro percorso lavorativo. Da questo paradosso si può uscire, come ricorda la Chiesa, solo con adeguate  politiche sociali.
 
Cari associati,
secondo una ricerca pubblicata nei mesi scorsi dall’Istat, le donne italiane guadagnano in media il 9% in meno degli uomini ed il nostro Paese è nelle posizioni di coda, in Europa, per tasso di occupazione femminile.
Già uno studio del 2004, inoltre, aveva messo in evidenza come in Italia le donne siano le meglio valutate a scuola e le meno valorizzate sul lavoro.
Dati, tutti questi, che dimostrano come la discriminazione femminile sia ancora lontana dall’essere definitivamente sconfitta. Nella società in generale, ma in particolare anche nei luoghi di lavoro. E tutto ciò nonostante si abbia la sensazione che oggi le donne vivano giustamente una stagione di libertà senza eguali in passato.
Le donne guadagnano meno, trovano con più difficoltà una occupazione, difficilmente fanno carriera.
Eppure nella nostra legislazione non mancano certo gli strumenti di contrasto ad ogni forma di discriminazione, da quelle più evidenti alle tante altre meno vistose ma non per questo meno pervasive ed intollerabili.
Ma come sempre ogni medaglia ha il suo sgradito rovescio. E così, secondo alcuni studiosi, proprio la presenza di tante normative a tutela delle donne, ed in particolare della loro maternità, può seminare di ostacoli il loro percorso lavorativo.
C’è chi è arrivato a sostenere che incentivare le donne ad abbandonare il lavoro per periodi molto lunghi significa accrescere a dismisura la probabilità di esclusione, o di autoesclusione, dai percorsi di carriera più gratificanti.
A sostegno di questa tesi si cita il fatto che negli Stati Uniti, che sono la parte del mondo dove le donne hanno più possibilità di fare carriera, il congedo per maternità dura solo tre mesi, mentre in Europa il periodo di maternità retribuita arriva sino a tre anni.
La conseguenza è che negli Stati Uniti circa il 45% dei quadri dirigenziali è composto da donne, mentre in Italia siamo inchiodati appena al 18%. Inoltre nel nostro Paese una donna su cinque smette di lavorare dopo la maternità e nel 30% dei casi questo avviene o per licenziamento o perché non le viene rinnovato il contratto.
In questa situazione, è di tutta evidenza come siano necessarie politiche di sostegno alla famiglia che non finiscano con il penalizzare proprio quei soggetti che, in astratto, si vorrebbero tutelare e garantire.
Non a caso la Chiesa sottolinea come su questo terreno si misurino la qualità della società e l’effettiva tutela del diritto al lavoro delle donne. La persistenza di forme di discriminazione offensive della dignità e della vocazione della donna nella sfera del lavoro non sono, insomma, assolutamente giustificabili.
Il riconoscimento dei diritti della donna esige che il lavoro sia strutturato in modo che essa non debba pagare la sua promozione con l’abbandono della famiglia.
La Chiesa ci ricorda che il lavoro è un bene di tutti e che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. Una società in cui il diritto al lavoro sia vanificato o sistematicamente negato ed in cui le misure di politica economica non consentono di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, secondo l’enciclica Centesimus annus, ‘non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale’.
C’è comunque un settore nel quale le donne, fortunatamente, non soffrono di discriminazioni. E’ il settore artigiano.
Infatti, anche per la presenza di mestiere tradizionalmente femminili, il mondo artigiano ha da sempre rappresentato un terreno nel quale le donne hanno saputo realizzare la propria personalità in maniera compiuta e coerente.
L’imprenditoria femminile, che ormai ha messo radici anche in ambiti in passato di esclusivo appannaggio maschile, storicamente ha mosso i suoi primi passi proprio in ambito artigiano, rivitalizzando un settore che ha bisogno come l’aria di idee innovative.
In questa ottica si spiega il rilancio del movimento femminile dell’Acai. Un movimento che può garantire all’intero corpo della nostra organizzazione nuovi slanci ideativi capaci di portare nel mondo del lavoro del nostro Paese una salutare ventata di novità.




Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 


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