Cosa augurare ad un Paese “senza”

di Dino Perrone

 


L’Italia di oggi ha smarrito il coraggio. Essa appare senza fiducia nel futuro, senza speranza di cambiamento, senza entusiasmo. Risalire la china sarà difficile. Ma vale la pena tentare. Per assicurare un domani a quanti, oggi, proprio del domani hanno paura.
 


Cari associati,
il 2007 si consegna alla storia lasciando irrisolti i tanti problemi che attanagliano l’Italia.
Fare un elenco di questi problemi è esercizio semplice e, nel contempo, frustrante.
Stagnazione economica, carico fiscale eccessivo per troppe categorie produttive, timori di recessione, preoccupazioni in materia di sicurezza sociale, morti sul lavoro, disoccupazione giovanile e femminile, difficoltà di integrazione con i nuovi immigrati. E, soprattutto, una politica avvertita sempre più come distante, se non addirittura ostile.
In questo quadro, ogni anno che passa diventa sempre più difficile manifestare ottimismo e formulare degli auguri che non suonino come meramente rituali e poco convinti.
Cosa augurare, infatti, all’Italia ? Cosa augurare ai nostri artigiani ?
A questi ultimi l’augurio, sincero ed affettuoso, è semplicemente quello di una serenità domestica che li accompagni per tutti i giorni dell’anno, facendo loro riscoprire l’importanza di quei valori familiari che, a volte, i ritmi frenetici del lavoro tendono ad offuscare.
Ma cosa augurare, invece, all’Italia ?
Il nostro sta diventando sempre più un Paese ‘senza’.
Senza coraggio, senza fiducia nel futuro, senza speranza di cambiamento, senza entusiasmo. Senza ricchezza. Sia di idee che di beni materiali.
Ce lo dicono le principali indagini statistiche e sociali. L’Italia è sempre più sulla difensiva, sospettosa, timorosa. E’ una Italia che si blinda dietro l’uscio di casa, che sta diventando sempre più indifferente, egoista, eticamente povera.
Una Italia i cui cittadini stanno abbassando il proprio livello di coinvolgimento civico e di partecipazione politica e sociale.
Una Italia che non si fida delle sue principali istituzioni, il cui gradimento è drasticamente calato nel corso degli ultimi dodici mesi. Un Paese che ha perso i suoi tradizionali, rassicuranti punti di riferimento.
Addirittura, secondo recenti indagini, quasi un terzo della popolazione italiana manifesta una crescente disaffezione nei confronti della democrazia.
Si tratta di una deriva pericolosissima che potrebbe  far saltare l’intero sistema. Una deriva alimentata dalla difficoltà crescente di comprendere di cosa effettivamente, oggi, parli e si occupi la politica.
I cittadini si vedono nelle vesti di spettatori di un dibattito che, tra legge elettorale, coalizioni e scissioni, sembra ormai disinteressato ai problemi quotidiani delle persone.
Appare pertanto urgente avviare una severa opera di ricostruzione morale del Paese, capace di riportare in primo piano i valori e non gli interessi.
I valori della persona, anzitutto. Quei valori eterni ed immutabili e perciò sempre attuali, sempre indispensabili.
La persona dovrebbe essere al centro di ogni iniziativa, di ogni progetto politico, sociale e culturale. Troppo spesso, invece, alla persona viene anteposto il profitto. Con le conseguenze negative che sono sotto gli occhi di tutti.
Siamo immersi in un tipo di società apparentemente ricca di risorse materiali e di opportunità che, tuttavia, aumenta il solco che ci separa gli uni dagli altri. Una società che, di fatto, chiude le porte alla vera solidarietà ed alla vera partecipazione.
Fino a quando valuteremo lo stato di salute del nostro Paese riferendoci solo ai dati del prodotto interno lordo, peraltro neppure positivi, continueremo a non comprendere la ‘febbre sociale’ che attraversa le nostre città.
Robert Kennedy, già negli anni Sessanta, ammoniva che il prodotto interno lordo non tiene conto della salute delle famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago.
Il prodotto interno lordo misura tutto, diceva Kennedy, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sul nostro Paese, ma non dice se possiamo essere orgogliosi di far parte del nostro Paese.
E si  può orgogliosi del proprio Paese, mi permetto di aggiungere, solo se la politica e l’economia sono davvero al servizio delle persone e non le persone al servizio della politica e dell’economia.
Oggetto dell’economia, rammenta la Dottrina Sociale della Chiesa, è la formazione della ricchezza ed il suo incremento progressivo in termini non soltanto quantitativi, ma qualitativi. Lo sviluppo, pertanto, non può ridursi alla pura accumulazione di beni e servizi, la cui eccessiva disponibilità in favore di alcune fasce sociali soltanto può facilmente rendere gli uomini schiavi del ‘possesso’.
Lo sviluppo deve tendere invece al progresso globale e solidale dell’uomo e della società in cui egli vive ed opera.
La Chiesa ci ricorda ancora che il lavoro umano è un diritto da cui dipendono direttamente la promozione della giustizia sociale e della pace civile.
Ripartire dalla persona, dal rispetto per la sua realizzazione, può significare risalire la china della disaffezione verso gli altri e del disimpegno rancoroso.
Significa restituire un senso di appartenenza comune, una vicinanza agli altri che oggi non si avverte se non in sporadiche occasioni. Significa avviare politiche sociali che guardino all’interesse generale
E’ questo, forse, l’unico augurio che possiamo formulare alla nostra Italia.
Ritornare alle proprie radici ideali. Alla propria storia comune, superando localismi e microinteressi.
Passare dall’essere un Paese afflitto da troppi ‘senza’ ad un Paese ‘con’. Un Paese con fiducia, con coraggio, con impegno, con accoglienza.




Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 


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