Convegno ACAI

VALORI DELLA PERSONA, ETICA DELLA POLITICA,

CULTURA DELLA LEGALITA’, MERCATO DEL LAVORO

 



‘Oggi la crisi economica mette a dura prova la capacità di ognuno di superare i propri egoismi. Da questa crisi, se sapremo porre attenzione ai bisogni primari di ognuno, può nascere, quindi, anche una nuova speranza nel domani’.

Con queste parole il Cardinale Renato Raffaele Martino ha concluso tra gli applausi i lavori del convegno promosso a Paestum (SA) dall’A.C.A.I. dal titolo:’Valori della persona, etica della politica, cultura della legalità, mercato del lavoro’.

Il presule, dinanzi ad una platea di oltre duemila persone, ha inoltre sottolineato come ‘la Dottrina Sociale della Chiesa non insegue la moda, ma la Verità’. E per questo, ha detto ancora il Cardinale Martino, ‘il suo messaggio è universale e perenne e ad esso deve ispirarsi ogni azione politica che abbia davvero a cuore le sorti della persona’.

Ai lavori sono intervenuti con applaudite relazioni la parlamentare dei Liberal-Democratici per il Rinnovamento Daniela Melchiorre, che ha parlato in veste di magistrato e quale componente della Commissione Giustizia della Camera, e don Luigi Merola, presidente dell’associazione ‘A voce ‘re creature’ e famoso per il suo impegno contro la criminalità organizzata nel rione Forcella di Napoli, che ha sottolineato la necessità di rilanciare la funzione educativa della scuola per promuovere una cultura della legalità realmente condivisa ed avvertita.

Sul tema della legalità si è a lungo soffermato anche il Questore di Salerno dr. Roca che, nel portare il saluto del Prefetto, ha a sua volta ricordato che ‘troppo spesso si confonde la legalità con la sicurezza. La sicurezza deve essere garantita dalle forze dell’ordine. E’ compito che spetta a loro. La legalità è invece un compito che spetta a tutti. Ognuno cioè deve garantire con i suoi comportamenti il rispetto delle regole’.

Il Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Salerno, Angelo Villani, nel suo saluto, ha sottolineato la necessità di una sinergia virtuosa fra le istituzioni e le forze dell’Ordine per sconfiggere l’illegalità anche in tema di appalti pubblici.

In apertura dei lavori, è stato letto un messaggio di saluto rivolto all’Acai dal Presidente del Tribunale di Salerno, dr.  Mastrominico.

Qui di seguito riportiamo ampi stralci della relazione introduttiva al convegno tenuta dal nostro Presidente nazionale Dino Perrone.

 

Illustri Autorità civili e religiose, signore e signori,

sono lieto ed onorato di aprire i lavori di questo convegno che, nel solco di una consolidata e feconda tradizione dell’Acai, affronta temi certamente complessi ma nel contempo ricchi di spunti affascinanti.

Stasera ci occupiamo di valori e di etica, ma anche di legalità e di lavoro.

Temi che, in questo contesto storico così sfilacciato, sono estremamente attuali ed investono le ragioni stesse dell’agire politico.

Temi che affrontiamo al cospetto di una platea costituita dalla nostra gente. Artigiani, commercianti, liberi professionisti, giovani, donne, pensionati. La nostra gente, l’operosa comunità dell’Acai.

Discutiamo di temi complessi perché complessa è la realtà nella quale siamo immersi e con cui dobbiamo fare i conti.

Le difficoltà economiche in cui si dibatte l’Italia sono sotto gli occhi di tutti, in special modo nel nostro Mezzogiorno.

L’incertezza ingenera sfiducia nel futuro, e questo riguarda anche le piccole e medie imprese che pure sono le uniche ad avere sinora reagito abbastanza bene alla crisi.

Ma questa reazione non è stata purtroppo uniforme.

Essa ha interessato solo il Centro ed il Nord del Paese. Al Sud, anche per le ragioni che illustreremo tra poco, le nostre imprese temono la chiusura o perlomeno una drastica riduzione delle commesse, non riuscendo ad affrontare i costi di una crisi che non risparmia neppure i grandi gruppi.

Forte appare il disagio di tanti strati del Paese.

In questo quadro è palese il rischio di una progressiva deriva sociale dagli esiti imprevedibili. Ecco dunque le ragioni che ci hanno indotto a promuovere questo convegno che vuole analizzare i rapporti tra valori, politica, legalità e lavoro.

Certo oggi non è facile riappropriarsi soprattutto dei principi etici e morali. Eppure bisogna provarci in ogni campo, perché lo sviluppo vero parte da questo.

Non si costruisce, infatti, una buona società separandola dal riconoscimento dei valori universali che connotano la dignità dell’uomo.

Ci riferiamo ai valori perché i valori vengono molto prima dei diritti. Anzi è proprio dal riconoscimento dei valori che derivano non solo i diritti, ma anche i doveri.

I cambiamenti epocali di fronte ai quali ci troviamo oggi richiedono quindi una forte coscienza dei valori più profondi della nostra civiltà. Il rispetto della vita, la tutela delle persone, l’accoglienza, la solidarietà, la sussidiarietà.

Valori che riguardano appunto la persona e rispetto ai quali occorre trovare il giusto equilibrio tra politica, Stato ed economia.

Oggi invece, in tanti campi dell’agire umano, assistiamo ad una rivendicazione dei diritti troppo spesso separata dai valori. E tutto ciò rischia di condurci non ad una maggiore libertà, ma di sconfinare nell’arbitrio.

Rischia di diventare arbitrio la stessa politica, allorquando si riduce ad essere autoreferenziale, rattrappita sui propri privilegi, sostanzialmente indifferente ai bisogni ed alle aspettative delle persone.

Una politica che, avendo smarrito la propria dimensione etica, fatica a conquistare la fiducia dei cittadini che sempre più spesso la percepiscono come qualcosa di distante o addirittura di irritante.

Occorre che la politica torni a confrontarsi con gli orizzonti della libertà, della giustizia, della pace, dell’amore verso il prossimo.

Ed occorre che le questioni legate al lavoro tornino davvero al centro delle problematiche sociali.

Il lavoro infatti rappresenta l’attività che prima di tutte connota e determina le condizioni e la qualità della vita sociale.

Ma occorre anche che si diffonda sempre più la consapevolezza che la sola crescita economica non comporta automaticamente un miglioramento della qualità della vita, perché questa dipende invece dall’equilibrio sociale e dal tessuto di fiducia in cui si vive.

Ed invece questa fiducia sembra affievolirsi, fiaccata anche da una politica che, avendo abdicato in favore della finanza, sembra non trovare più posto per le decisioni umane. Tutto deve essere interpretato in funzione economica: il lavoro, lo sviluppo, la società, gli stessi rapporti tra le persone.

Ma la finanza, specie quando è lontana dalle persone, diventa nemica dello sviluppo. L’attuale crisi finanziaria ne costituisce la puntuale conferma.

Per uscire da questo cono d’ombra, per tornare nel cuore delle persone, la politica deve mostrarsi ancora capace di parlare il linguaggio della verità. Affrontando i problemi che sono sul tappeto, senza infingimenti e soprattutto senza inseguire scorciatoie falsamente miracolistiche.

Ma tenendo sempre ben salda nelle proprie mani la barra dei valori non negoziabili.

Questo è un tema delicato e ne abbiamo avuto conferma nei mesi scorsi, dinanzi a dolorosi quanto devastanti fatti di cronaca.

Una politica che non sia in grado di selezionare una classe dirigente capace ed affidabile arrecherà danni a tutte le istituzioni, minandone la stessa credibilità.

Contro una simile deriva dobbiamo sentirci chiamati tutti ad un atto di responsabilità.

E questo non per realizzare uno Stato etico, ma uno Stato giusto.

Ed uno Stato giusto è nell’interesse di tutti, laici e credenti.

Uno Stato giusto è quello che, attraverso i suoi rappresentanti, è il primo garante del vivere civile e democratico fornendo esempi di legalità, comportamenti corretti e rispetto delle leggi.

Noi invece stiamo assistendo ad una crisi profonda della legalità sotto diversi profili che, intrecciandosi tra di loro, tendono a produrre un senso di generale disorientamento e sfiducia che può essere particolarmente pericoloso.

Assistiamo all’affievolirsi della certezza del diritto, causata anche da una produzione normativa abbondante, confusa, disarticolata.

L’eccessiva lunghezza dei processi, connessa alle difficoltà di applicazione delle pene che spesso tolgono efficacia alle sanzioni, rischia di far diminuire la fiducia dei cittadini nella possibilità di vedersi garantita una giustizia concreta, aumentando una sensazione, socialmente devastante, di una generalizzata impunità.

In tale quadro la legge sembra aver perso la sua funzione regolatrice e di garanzia e non appare neppure idonea a leggere e governare la realtà.

Questa crisi della legalità la percepiamo tutti.

Ad essa bisogna reagire, poiché una società può sopportare fisiologicamente un certo numero di deviazioni, ma non può sopravvivere ad una generalizzata alterazione del proprio sistema di regole.

Ed ai giovani che vedo presenti in tanti in questa sala mi sento di dire: criticate pure le istituzioni, se necessario, criticate la magistratura e le forze dell’ordine quando vi siano delle devianze o degli eccessi. Ma state loro vicino. Sempre.

Sostenetele. Sostenete le istituzioni, sostenete i magistrati, sostenete tutti coloro che si battono contro le ingiustizie.

Criticare le sentenze in certi casi è legittimo perché anche tra i magistrati, come in tutti gli ambienti e le professioni, possono esserci sbavature o concessioni al protagonismo.

Ma delegittimare la magistratura, questo no.

Delegittimare la magistratura è un esercizio che non può appartenere ad una democrazia matura.

Bisogna anzi difendere l’autonomia e la serenità dei magistrati, quotidianamente alle prese con il dramma del giudicare.

 

I magistrati, cari giovani, debbono sentire il sostegno e la fiducia del Paese. E questo non per poter fare meglio il loro lavoro, perché i magistrati il loro lavoro debbono farlo e lo fanno comunque al meglio. Ma per costruire una sintonia virtuosa fra le persone e le istituzioni.

Sostegno, fiducia e sintonia che debbono sentire anche i tutori dell’ordine, la cui preziosa opera non è mai esaltata a sufficienza.

Ma a tutti costoro, magistrati e forze dell’ordine, non si può chiedere anche una funzione  di supplenza di altre istituzioni.

Quando una notizia di reato arriva sulla scrivania di un magistrato, è già tardi. Significa che un anello della catena che tiene insieme una società civile è già saltato. E’ il momento della repressione e della sanzione, perché alle forze dell’ordine ed ai magistrati tocca appunto reprimere e sanzionare.

Ma per educare alla legalità serve uno sforzo che si colloca in un raggio d’azione molto più ampio.

Uno sforzo che chiama in causa altre istituzioni. Uno sforzo che riguarda la famiglia, la scuola, la stessa chiesa.

Stasera abbiamo con noi don Luigi Merola che voi tutti certo conoscete per il suo impegno contro la camorra in un quartiere di frontiera come Forcella. Ebbene, caro don Luigi, di Forcella ce ne sono tante in Italia.

Magari camuffate e nascoste, magari inattese. Ma che non si possono ignorare. Che bisogna riuscire a riscattare dal giogo dei poteri malavitosi.

Don Luigi Merola può insegnarci come fare perché lui lo ha già fatto ed ancora lo sta facendo.

Ma come ci sono tante Forcella, sono certo che nella Chiesa ci sono anche tanti don Luigi. E questo anche grazie al sostegno di Sua Eminenza il cardinale Martino, che a questi preti di strada, come qualcuno li definisce, dedica ogni attenzione pastorale.

Ma neppure la Chiesa, da sola, può bastare. Come da sola non può bastare la scuola, chiamata ad incidere positivamente sulle coscienze dei giovani.

Bisogna pertanto salutare con favore ogni attività tendente a mettere al centro della riflessione le questioni legate alla legalità.

In questo senso registriamo con favore iniziative come quella promossa dalla  Confindustria provinciale e che vede tra i protagonisti il Prefetto di Salerno al cui tavolo di concertazione si sono radunate le imprese e le associazioni dei lavoratori per dibattere proprio di questi temi.

E’ infatti solo con l’azione di tanti che si può sviluppare una vera cultura della legalità che, partendo dall’esigenza del rispetto delle norme, si intrecci con il dovere della solidarietà. Questo perché il recupero di una cultura della legalità è un problema non solo morale ed individuale, ma è anche un fatto sociale.

Una società davvero coesa e solidale è anche una società nella quale vi è un più penetrante e puntuale controllo sociale.

Il rispetto reciproco, la capacità di occuparsi dei problemi comuni e di realizzare un impegno civile meno episodico possono rendere tutti consapevoli che il vivere civile non attribuisce solo diritti ma è anche, se non soprattutto, fonte di un dovere civico che ha maggiori possibilità di espandersi dove sono maggiori le risorse e le capacità.

E la legalità deve avere pieno diritto di cittadinanza nel mercato del lavoro, troppo spesso ancora preda di distorsioni, sopraffazioni, ingiustizie.

Le nostre imprese hanno bisogno di un quadro di diffusa legalità, per poter garantire ancora lo sviluppo del Paese.

Le nostre imprese chiedono legalità per evitare che, sotto il giogo della pressione malavitosa, finiscano sul lastrico non solo gli imprenditori, ma soprattutto gli operai e le loro famiglie.

E’ vero che la disoccupazione è ormai un dramma di portata sopranazionale e che richiede interventi che superano i confini dei governi locali, ma è altrettanto vero che in certe aree del nostro Paese il mancato sviluppo è soprattutto l’effetto di una criminalità organizzata che ha creato un circolo vizioso che occorre interrompere.

Troppe imprese vengono scoraggiate dall’investire non solo per le carenze infrastrutturali di alcune aree del nostro Paese, ma anche per la presenza, in quelle stesse aree, di un clima di pervasiva illegalità.

L’illegalità tende a farsi essa stessa impresa. Impresa illegale, impresa criminale.

Ai campi tradizionali dell’economia illecita, dal pizzo alla droga, oggi si sono infatti aggiunti il riciclaggio dei rifiuti e la speculazione edilizia ed ambientale.

Tutto ciò aumenta le difficoltà per l’imprenditoria sana, che nel nostro Meridione deve misurarsi con queste forme perverse attraverso le quali la malavita tende a ripulire il proprio denaro, reinvestendolo in attività solo all’apparenza lecite.

Parliamo di un volume d’affari dalle dimensioni semplicemente paurose, mediante il quale l’attività criminale non garantisce lo sviluppo ma pone le premesse per altro degrado ed altra miseria.

Le nostre imprese, quindi, debbono affrontare, oltre a quella lecita, anche questa concorrenzialità particolarmente perniciosa, perché si gioca con carte truccate. Perché ha come obiettivo la conquista del mercato attraverso l’intimidazione, la sopraffazione e l’espulsione dei soggetti virtuosi.

Cosa fare ?

A ciascuno il suo compito, è la mia risposta.

Ed il compito di una organizzazione di valori ma anche di categoria come la nostra è quello non solo di sensibilizzare l’imprenditoria su queste tematiche, ma anche di stare al fianco di chi denunzia, di raccogliere questa sfida portandola nelle sedi competenti, al vaglio delle forze dell’ordine e dei magistrati.

Gli imprenditori italiani debbono sapere che l’Acai è e resterà sempre dalla loro parte nella lotta alla criminalità organizzata.

Noi siamo dalla parte di chi reagisce, di chi non si piega, di chi denunzia.

Chi finge di non vedere, o peggio ancora si illude di poter scendere a patti con l’illegalità, di poterci in qualche modo convivere, anzitutto non è un buon cittadino ma è anche un pessimo imprenditore. Anzi dell’imprenditore usurpa persino il nome.

E’ urgente tuttavia indagare sulle ragioni che ancora a troppi fanno apparire le azioni illegali un mezzo necessario per risolvere una miriade di problemi,dai più irrilevanti ai più complessi.

E qui guardo ancora ai giovani.

Il risveglio della loro coscienza civile, il loro rifiuto di ogni forma di sopraffazione, rappresentano l’unica arma in grado di risultare vincente per combattere una illegalità che cerca di accreditarsi come credibile modello di vita.

Cari giovani, qualcuno ha scritto che l’esperienza è un pettine che la vita ci mette a disposizione quando oramai abbiamo perso i capelli.

Ma non è detto che siccome magari in passato noi abbiamo sbagliato, dobbiate necessariamente sbagliare anche voi.

Anzi, fate tesoro dei nostri errori. Non ripeteteli.

Tornate a guardare ai valori della persona, alla dimensione etica dell’avventura umana proprio per assicurarvi un futuro di giustizia e di equità.

Gli aspetti etici, e quindi il rispetto della persona che deve ispirare una più avvertita etica dell’agire politico, sono infatti fondamentali affinché si possano realizzare le condizioni per un maturo e positivo rispetto della legalità, premessa indispensabile per un corretto sviluppo sociale ed economico.

Ed ecco, quindi, che tutto si tiene.

E’ infatti evidente che una cultura della legalità realmente avvertita e condivisa può nascere solo se promossa da una politica che riscopra le dimensioni etiche del proprio agire. E può farlo, la politica, solo partendo dal rispetto dei valori della persona. Di ogni persona.

Nessuno è solo. Le nostre azioni finiscono sempre con avere ripercussioni sul contesto sociale cui apparteniamo.

Evitare una deriva nichilista è oggi il primo dovere di ogni cittadino. Altrimenti consegneremo al domani una società priva di futuro.

 



Dino Perrone

Presidente nazionale ACAI