Contrattazione territoriale per rilanciare l’economia

di Dino Perrone

 

Dinanzi alle difficoltà di un mercato del lavoro sempre più ingessato, da più parti si sollecita l’avvio di un nuovo modello aziendale capace di legare i salari alla produttività. Ma i tempi sono davvero maturi per una simile rivoluzione copernicana ?

Cari associati,
i salari italiani sono nettamente più bassi di quelli della Francia, della Germania e del Regno Unito. Si tratta di un dato statistico che purtroppo non teme smentite.
Un dato che evidenzia i ritardi accumulati nella elaborazione di una credibile politica del lavoro che nel nostro Paese si è rilevata in questi anni sempre più frammentata, sfilacciata ed incoerente.
Gli esperti sostengono che la politica di moderazione salariale sancita dalle regole di contrattazione del 1993 andrebbe sostituita con un modello diverso, capace di legare i salari alla produttività aziendale.
Si tratta, insomma, di avviare soprattutto un serio programma di contrattazione territoriale che abbia come obiettivo finale la possibilità di aumentare, in maniera significativa, le attuali retribuzioni.
Ma qui si entra in un terreno molto accidentato e pieno di insidie.
Su questo argomento, infatti, parti notevoli del sindacato italiano continuano a mostrare una chiusura preconcetta, nella convinzione che ciò porterebbe non all’incremento delle buste paga, ma semmai solo a svilire il ruolo e l’importanza dei contratti nazionali e quindi delle stesse organizzazioni di categoria.
Contratti nazionali che, per inciso, sono attualmente circa ottocento e rispetto ai quali tutte le parti in causa prima o poi dovranno pure porsi il problema di una loro necessaria semplificazione.
Ovviamente spostare verso la sede aziendale il baricentro della contrattazione significa affrontare un cambiamento che è destinato ad avere conseguenze strutturali. Si tratta infatti di affrontare su un piano diverso tutta una serie di questioni oggi “coperte” dal quadro nazionale.
Certamente le aziende più sane pagheranno di più i propri addetti, aumentando nel contempo anche la propria competitività. Per quelle in difficoltà bisognerà invece prevedere una rete di interventi capaci di garantire anche ad esse un adeguato sviluppo e quindi la possibilità di continuare a stare dignitosamente sul mercato, salvaguardando ovviamente i livelli occupazionali.
In ogni caso si aprirebbe la strada ad una contrattazione meno ingessata e più aderente alle singole realtà territoriali ed imprenditoriali. Si tratterebbe insomma una vera e propria rivoluzione copernicana. Ma i tempi sono davvero maturi ?
Su questa strada sembra intenzionato ad incamminarsi l’attuale esecutivo, pur in mezzo a mille prudenze. Prudenze certamente doverose, data la delicatezza della questione. Ma parimenti doveroso si delinea, oggi, il tentativo di innovare in una materia troppo spesso facile ostaggio di interessi contrapposti.
Resta poi centrale la questione dell’eccessivo peso fiscale sui salari e le retribuzioni.
Bisogna alleggerire questo prelievo, facendo in modo che ciò tuttavia non comporti un abbassamento della qualità di quei servizi che vengono finanziati attraverso le tasse.
Oggi la sensazione è invece di avere a che fare con tasse che, pur essendo esose, non riescono a garantire neppure un livello minimo di servizi efficienti.
Invertire la rotta è possibile solo a patto di rendersi finalmente conto che problemi come questo non possono essere affrontati, né tantomeno risolti, solo su base ideologica. Altrimenti continueremo ad avere a che fare con un aumento costante della spesa pubblica a fronte di un progressivo scadimento dei servizi e con in mezzo una pubblica amministrazione sempre più vecchia ed obsoleta ed un sistema istituzionale a sua volta eccessivamente lento e complicato.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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