Lâesecutivo Letta procede il suo cammino, lasciandosi alle spalle settimane di fibrillazioni. Ma la stabilità di governo, da sola, non basta a garantire la ripresa dellâeconomia se ad essa non si accompagna una visione del Paese che vada oltre il contingente
Il governo delle larghe intese continua dunque il suo cammino, al termine di un passaggio in aula tra i pi๠delicati ed allâapparenza tortuosi della storia parlamentare italiana di questi ultimi anni.
Il premier Enrico Letta, superato lo scoglio di inizio ottobre sulla richiesta di fiducia al suo esecutivo, si mostra pi๠motivato che mai a porre nuovamente mano a quel crono-programma già altre volte sbandierato che tuttavia richiede, per avere concreta attuazione, rapidità decisionale e stabilità del quadro politico.
Il punto è che lâuna e lâaltra, al netto degli ottimismi di facciata, non paiono tuttavia abbondare. Anche perché lâuna è la logica premessa e conseguenza dellâaltra.
Intendo dire che forze politiche così rissose e pronte a dividersi su tutto, e prima ancora persino al loro interno, non fanno che rallentare lâassunzione delle decisioni pi๠importanti da parte dellâesecutivo. Di qualunque esecutivo.
Questa situazione non mi sembra sia destinata a migliorare, almeno nel breve periodo, e ciಠrappresenta la pi๠seria e pesante ipoteca che grava sul destino del governo in carica.
Una ipoteca che, inevitabilmente, si riverbera sullâintero Paese, ancora e sempre adagiato sul ciglio di un burrone dal quale non riusciamo mai ad allontanarci definitivamente. Il percorso da compiere, insomma, resta pieno di sassi. Anzi di veri e propri macigni che solo la leva di una buona ed efficace politica potrà contribuire a sollevare.
Per svolgere questo che è poi il vero âcompito a casaâ, richiesto stavolta non dallâEuropa o dai mercati ma pi๠semplicemente dai cittadini italiani, la nostra classe politica deve mostrare nel suo insieme di sapere incarnare una visione, un progetto di Paese realmente condiviso. Insomma, di mostrare quello âsguardo lungoâ cui ho fatto riferimento in passato.
Uno sguardo, una visione, un progetto che perಠancora stentano a prendere forma.
In queste condizioni è davvero arduo prevedere una rapida ripresa dellâeconomia ed un conseguente rilancio per lâoccupazione, gli investimenti ed i consumi italiani.
Ci avviamo così a fare i conti con una prossima legge di stabilità che, molto probabilmente, proverà a garantire solamente la correzione del rapporto fra deficit e Pil nella misura del 3%, come richiesto dallâEuropa, rinviando invece a tempi migliori il varo di provvedimenti che incidano concretamente sul versante della crescita.
Non si spiegano altrimenti le persistenti âtimidezzeâ dellâesecutivo su alcune importanti questioni strategiche, quali ad esempio la riduzione del costo del lavoro e degli sprechi della spesa pubblica, oppure in materia di incentivi alle imprese.
Su questâultimo aspetto le poche misure sinora varate, quali il credito agevolato alle aziende che investono in macchinari, ricerca e innovazione, continuano ad avere un carattere microsettoriale se non addirittura episodico e non toccano la generalità del nostro sistema produttivo, messo alle strette dal calo di consumi e dagli aumenti delle imposte decisi negli ultimi anni.
Tutto ciಠa conferma di come la stabilità di governo, da sola, non basta a garantire la ripresa se ad essa non si accompagna appunto una visione del Paese che vada oltre il contingente.
Il panorama resta dunque incerto anche perché, se davvero ci troveremo dinanzi ad una legge di stabilità tutta giocata sulla difensiva, potrebbe farsi drammaticamente concreto il rischio di un peggioramento ulteriore della nostra situazione produttiva ed occupazionale.
Specialmente se dal versante politico, con lâapprossimarsi di nuove scadenze elettorali, riprenderanno a soffiare venti di guerra e fibrillazioni sempre meno controllabili.
La situazione, insomma, continua ad essere estremamente delicata e richiede una saldezza di nervi non comune da parte di tutti gli attori sulla scena i quali debbono finalmente cominciare a prendere atto che, al netto di tutte le questioni aperte, nel nostro Paese esiste anzitutto un deficit di rappresentanza sociale ed elettorale che colpisce sia il centrodestra che il centrosinistra e che deve essere colmato al pi๠presto.
Intendo dire che una fetta sempre pi๠ampia di nostri concittadini stenta a riconoscersi nei comportamenti, nei modi, nei riti e nei tempi di una politica che appare non solo distante, ma in qualche misura persino ostile.
In giro si avverte un risentimento sempre pi๠sordo che non puಠnon destare una sincera preoccupazione.
Anche questo è uno âspreadâ con gli altri paesi di cui tenere debito conto. Per il bene di tutti.