Un patto generazionale sotto l’abete della Festa

___________________________________di Dino Perrone

 

Famiglie ed imprese fanno i conti con la  manovra economica varata dal ‘governo dei tecnici’. Ma in  attesa delle misure per lo sviluppo, occorre  essere consapevoli che il futuro del Paese si costruisce solo attraverso la coesione sociale
 
Anno durissimo, il 2011.
Un anno che ritengo saranno in ben pochi a rimpiangere e che proprio in coda, tra le immagini pubbliche più significative, ci ha regalato le lacrime del nuovo ministro del Lavoro nel giorno della presentazione della prima versione del cosiddetto ‘decreto salva Italia’.
Per salvare l’Italia, tuttavia, occorre anzitutto salvare gli italiani. E credo appunto che la commozione del ministro Fornero testimoni adeguatamente la consapevolezza di quanto sia gravoso il carico sistemato dall’esecutivo Monti, con questa manovra, sulle spalle dei nostri concittadini.
Una manovra che, anche nella versione successivamente corretta rispetto a quella che ha fatto commuovere la signora Fornero, rappresenta comunque un grosso macigno per le famiglie e per le imprese.
Il punto, ora, non è tanto se questa manovra poteva essere concepita diversamente, così da incidere in maniera meno urticante sulle fasce sociali più deboli. Il punto è se questa manovra sarà sufficiente a salvare davvero il Paese. In caso contrario, infatti, si sarà trattato solo di sacrifici inutili ed in certi casi persino odiosi.
Sacrifici che però sin d’ora non appaiono in grado di risolvere compiutamente le questioni vere che abbiamo davanti.
Certi dati statistici fanno infatti spavento. Ad esempio, si calcola che attualmente oltre il 30% dei trentenni italiani restano in famiglia e non creano, a loro volta, una nuova famiglia. E’ un segnale grave di ‘ingessamento sociale’. Un segnale che dimostra come sia sempre più necessaria una inversione di rotta che riconduca il nostro Paese lungo percorsi meno accidentati che siano capaci di dare una concreta certezza di futuro alle nuove generazioni.
Questa certezza non può prescindere dalla capacità del nostro sistema di valorizzare in maniera adeguata le competenze oggi necessarie per stare sul mercato del lavoro.
Tutto questo finora, se non è proprio mancato, è stato largamente insufficiente.
Il mancato allineamento tra l’ambito scolastico e formativo ed il sistema delle imprese ha fatto accumulare al nostro Paese, su questo tema, un ritardo rispetto alle altre economie avanzate che non sarà certamente facile recuperare in tempi brevi.
E qui si torna alla necessità di por mano, con convinzione, ad una generale riforma del mercato del lavoro che consenta, ad esempio, ai giovani di avere un salario di ingresso che non sia fermo, in termini reali, a quello di alcuni decenni addietro. E che, per fare un secondo esempio, eviti quella fuga dei cervelli che, secondo molti esperti, ormai non costituisce più un’eccezione ma vede l’Italia rischiare di ridursi a terra di conquista per quei Paesi maggiormente competitivi e dunque capaci di attrarre quel capitale umano che da noi non trova adeguata valorizzazione.
Se questa riforma mancherà, non avrà alcun senso l’annunciata equità che, assieme al rigore ed allo sviluppo, fa parte delle tra parole d’ordine del governo Monti.
Per ora abbiamo avuto solo il rigore. Un rigore che si è abbattuto in primo luogo sul sistema pensionistico in nome di quel più volte evocato patto di solidarietà fra generazioni.
Ma per garantire che i ventenni di oggi possano avere anche loro una pensione almeno dignitosa, bisognerebbe preoccuparsi di dar loro prima di tutto un lavoro sul quale costruirsi poi un futuro pensionistico adeguato.
Sarebbe stato meglio, quindi, riformare prima il mercato del lavoro e dopo, solo dopo, intervenire sulle pensioni. E’ vero: forse l’Europa, i mercati e la speculazione internazionale non ci avrebbero concesso il tempo necessario a varare questa riforma. Ma un simile intervento avrebbe favorito quel processo di coesione sociale che costituisce la premessa necessaria per ogni serio discorso di crescita e sviluppo.
Ed allora il vero patto generazionale, da sancire magari brindando sotto l’abete delle feste natalizie, non è quello che si gioca attorno alla semplice  riscrittura delle regole pensionistiche.
Il vero patto da stringere con il Paese nel suo complesso è quello che riguarda la capacità della classe dirigente di lasciare alle nuove generazioni una società in cui siano stati rimossi gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo. E ciò è possibile farlo solo attraverso l’elaborazione di regole nuove del mercato del lavoro, la promozione della conoscenza, il potenziamento delle infrastrutture, il superamento della lunga stagione del precariato in nome di una flessibilità realmente garantita.
E’ un percorso lungo, certo. Ma fin troppo lunga, ormai, è anche l’attesa che l’Italia si dimostri davvero in grado di voltare pagina.
Ed allora l’augurio che, in queste festività natalizie, a nome dell’Acai mi sento di rivolgere alla grande famiglia artigiana italiana è proprio quello di un 2012 che si lasci definitivamente alle spalle le divisioni, le incongruenze, le incapacità e le resistenze che hanno caratterizzato in questi anni il profilo pubblico del nostro Paese.

 
 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

 

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