Tra povertà e influencer

La riduzione delle disuguaglianze dovrebbe rappresentare un impegno programmatico rispetto al quale nessun governo, al netto della retorica, dovrebbe sottrarsi.
Purtroppo, invece, la storia politica italiana ci dice che raramente a questo tema è stata attribuita una vera centralità d’azione.
Anche l’attuale governo, finora, non fa purtroppo eccezione.
Il suo primo anno è stato caratterizzato da interventi che sembrano condurre all’abbandono progressivo di un approccio universalistico alla lotta alla povertà ed alle disuguaglianze in nome di una visione categoriale e in favore di iniziative legislative che, lungi dal correggere le note quanto inaccettabili criticità che erano presenti ad esempio nel reddito di cittadinanza, rischiano piuttosto di negare dignità e speranza a troppi.
Eppure i dati confermano come la povertà in Italia sia un fenomeno oramai strutturale e non più residuale come in passato, con una trasmissione inter-generazionale delle condizioni di vita sfavorevoli che risulta più intensa rispetto agli altri paesi europei.
Per rendersene conto, basta sfogliare l’annuale rapporto della Caritas italiana sulla povertà e l’esclusione sociale. In esso si legge che oltre cinque milioni e seicentomila persone oggi in Italia vivono in condizioni di estrema indigenza. E tra questi un milione e duecento mila sono minori costretti a rinunciare a tante opportunità di crescita, di salute, di integrazione sociale.
Come giustamente si sottolinea in questo rapporto, si tratta di una sconfitta per tutti.
La povertà, denuncia la Caritas in questo rapporto, “si allarga e si diffonde in modo indiscriminato, in tutti i contesti sociali, geografici e anagrafici”.
Non a caso, è possibile leggere ancora in questo documento della Caritas, oramai “in letteratura si parla di “democratizzazione della povertà” per indicare il fatto che è sempre più difficile identificare dei gruppi sociali che possano dirsi veramente impermeabili o invulnerabili al rischio di povertà”.
Forse è dunque il caso di ripensare in maniera più approfondita, meno umorale e “sondaggistica”, alle misure per l’inclusione sociale e lavorativa introdotte nel 2023, garantendo a chiunque si trovi in difficoltà la possibilità di accedere a uno schema di reddito minimo fruibile fino a quando la condizione di bisogno permane.
E ciò ovviamente senza tuttavia sfasciare i conti pubblici, magari non perseguendo interventi condonistici in materia di tassazione che sviliscono la fedeltà fiscale, esasperando comportamenti a dir poco opportunistici.
Come l’Acai ha denunciato anche nel suo recente congresso nazionale, la temperatura morale del nostro Paese è infatti piuttosto bassa. Dall’attuale governo, ed in particolare dalla premier Meloni, ci attendiamo dunque un concreto agire politico capace di ridestare una consapevolezza civica, una pulizia comportamentale, un rigore nella gestione della cosa pubblica che sono strumenti indispensabili perché migliori il clima generale della società italiana.
Una società il cui pendolo oscilla paurosamente tra la povertà opaca e silenziosa di troppi e il luccichio fin troppo ostentato e gridato del mondo degli influencer.
Occorre trovare un punto di equilibrio, per il bene di tutti. Ma in particolare di quanti, senza loro colpa, si trovano in condizioni di difficoltà esistenziale ed economica.

Il Presidente Nazionale
Alfonso Scafuro