Se il “credit crunch” affossa le imprese…

___________________________________di Dino Perrone

 

 
Alla fine del 2011 il  prodotto interno lordo è calato di oltre mezzo punto percentuale, certificando  l’entrata in recessione del Paese. Mentre famiglie ed imprese vivono una situazione di affanno crescente, al governo Monti si chiede un deciso cambio di passo sui temi della crescita

Nei giorni scorsi l’Istat ha certificato ufficialmente che siamo entrati in recessione.
Per il secondo trimestre consecutivo, infatti, l’attività produttiva ha registrato una significativa contrazione ed il prodotto interno lordo, alla fine del 2011, è calato dello 0,7 per cento.
Quel che è peggio, però, è che l’ombra della recessione sta allungandosi sin d’ora anche sulle prospettive dell’anno in corso, di fatto già prevedendo, in assenza di variazioni congiunturali, un saldo di crescita negativo di oltre mezzo punto percentuale.
Certo non si tratta affatto di buone notizie per quanti si erano illusi che la ‘cura Monti’, di per sé sola, avrebbe come d’incanto risollevato le sorti del Paese, con particolare riferimento alle esigenze delle famiglie e delle piccole e medie imprese.
Perché tutto questo avvenga, perché l’Italia riprenda la sua marcia, ci vuole invece l’impegno convinto di tutti.
Ci vuole tempo, ci vuole fatica, ci vogliono sacrifici diffusi. E ci vuole, magari, anche un maggiore sforzo di fantasia politica che forse è però fuori dalle corde di un governo che si fregia della sua natura eminentemente e freddamente ‘tecnica’.
Siamo dunque in recessione, come ben sanno anzitutto le famiglie italiane che hanno visto drasticamente ridursi il loro potere di acquisto, con salari che restano drammaticamente indietro rispetto al crescente costo della vita e con un reddito medio addirittura inferiore a quello che si registrava nel decennio precedente.
Siamo in recessione ed il cosiddetto ‘credit crunch’, vale a dire la rarefazione dell’erogazione del credito da parte delle banche, aumenta in misura esponenziale le difficoltà  delle nostre imprese a restare sul mercato. A crollare non è solo l’export, come avvenuto negli anni passati. A crollare attualmente  è anche la domanda interna, mentre i prestiti bancari restano fermi ai livelli del 2010.
Le pagine economiche di tutti i quotidiani sono piene di testimonianze, spesso drammatiche, di imprenditori che vedono farsi concreto il rischio che il loro lavoro, che spesso copre l’arco di più generazioni, venga inghiottito dal buco nero della mancanza di liquidità con la conseguenza di dover assistere, impotenti, alla disgregazione di tutto quanto faticosamente costruito nel corso degli anni.
Testimonianze che sono lo spaccato di una Italia che vuole resistere, che vuole continuare a credere nella possibilità di rilancio del Paese ma che vive una situazione di crescente sofferenza. Una sofferenza che a breve può diventare insostenibile per la gran parte degli attori economici ancora presenti sulla scena.
Questo ‘grido di dolore’, che ormai da mesi sale dal mondo delle imprese, non è stato finora adeguatamente compreso nella sua gravità.
Non lo ha compreso anzitutto il sistema creditizio italiano che, nonostante le ricorrenti assicurazioni in senso opposto, di fatto continua a privilegiare un modello di banca d’investimento su quello di banca commerciale, dimenticando che nessuna avventura imprenditoriale può reggere senza adeguati investimenti.
E continua a non comprenderlo il sistema politico che ancora non impone un cambio di passo all’esecutivo Monti sul tema della crescita.
Un tema rimasto finora evanescente nell’azione di governo, sacrificato sull’altare di un risanamento dei conti economici e di un recupero di credibilità internazionale che rischia però di sfibrare il Paese.
E’ allora giunto il momento che le forze politiche incalzino l’esecutivo proprio su questo tema. E’ giunto il momento di reclamare quello ‘sforzo di fantasia’ cui ho fatto cenno in precedenza.
Dalla crisi, infatti, non si esce solo attraverso l’aggiustamento, pur doveroso e meritorio, dei conti pubblici. Dalla crisi si esce, si può uscire, accompagnando al risanamento delle finanze pubbliche interventi adeguati sul fronte della crescita.
In caso contrario, come sottolineato da illustri economisti,  c’è davvero il rischio di rimettere in discussione il benessere conquistato dagli italiani a partire dal secondo dopo-guerra.
Occorrono segnali di fiducia, per le famiglie come per le imprese. Altrimenti qualsiasi sacrificio, già  richiesto o da richiedere, non avrà alcun senso.
 


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

 

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