Scelte coraggiose per un Paese scoraggiato

Su questa campagna elettorale infarcita di mirabolanti promesse piombano, pesanti come un macigno, i dati sull’aumento degli inattivi. A conferma di tutte le storture di un mercato del lavoro ancora preda di logiche superate dalla realtà

La notizia buona è che salgono i salari. Quella meno buona è che, contemporaneamente, salgono anche i prezzi. Quella decisamente pessima ed urticante è che i prezzi aumentano il doppio esatto dei salari.
Insomma siamo punto e a capo. E la famosa quarta settimana del mese, un tempo al centro di tutte le analisi sull’andamento dell’economia reale ed oggi invece questione praticamente ignorata, rimane il malinconico traguardo da tagliare sempre con le tasche quasi del tutto vuote.
La conferma di tutto ciò, in una campagna elettorale infarcita invece di mirabolanti promesse, è stata fornita dall’Istat nel suo rapporto sulle retribuzioni contrattuali ed i contratti collettivi nel nostro Paese.
L’aumento dello 0,6% della retribuzione oraria media registrato nel 2017 non solo rappresenta  il picco più basso degli ultimi 35 anni, ma è stato assorbito interamente dall’inflazione che nello stesso periodo ha segnato una crescita dell’1,2%. Esattamente il doppio, appunto.
A ciò si aggiunge che nel mese di gennaio 2018, sempre secondo le analisi dell’Istat, l’indice di fiducia delle imprese italiane è calato, passando da 108,7 a 105,6. La flessione di fiducia riguarda anche i consumatori che, passato rapidamente l’effetto natalizio, tornano a fare i conti con le incertezze del futuro.
La congiuntura resta quindi difficile ed anche i dati apparentemente più incoraggianti, come ad esempio quelli riferiti al calo del tasso di disoccupazione, si prestano invece a molteplici chiavi di lettura.
Gli occupati in Italia sono rimasti sopra la soglia dei 23 milioni ma per il quinto mese consecutivo sono diminuite anche le persone in cerca di lavoro. Ci sono infatti 47mila inattivi in più che, in qualche misura, “drogano” il dato sull’occupazione e che dovrebbero indurre a qualche riflessione su questo esercito di scoraggiati che vede sempre più ingrossare il proprio numero.
Peraltro i 173mila posti di lavoro creati nel 2017 sono in larga misura costituiti da contratti a tempo determinato, mentre quelli a tempo indeterminato sono scesi di venticinquemila unità.
La colpa, come troppo spesso avviene in questi casi, viene data non alle scelte della politica ma alla miopia delle imprese che, secondo alcuni osservatori, ritarderebbero artatamente le nuove assunzioni in attesa degli sgravi contributivi che quest’anno riguardano tutti i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato al di sotto dei 35 anni di età.
Ma se anche ciò fosse vero, se cioè fosse vero che stiamo assistendo ad una sorta di “melina” da parte del sistema imprenditoriale italiano in vista dell’applicazione pratica di ulteriori sgravi ed agevolazioni, tutto questo starebbe semplicemente a confermare come ancora non si è riusciti a sciogliere il vero nodo gordiano del problema.
Nodo rappresentato, ancora e sempre, dal costo troppo alto del lavoro nel nostro Paese. Non una novità, certo. Ma neppure una banalità, anzi.
Il costo del lavoro, che peraltro ci rende meno concorrenziali rispetto agli altri Paesi, rappresenta la cruna dell’ago da cui passa l’auspicata stagione di una ripresa dell’economia e dell’occupazione che non siano nel segno dell’episodicità.
Come cittadini, come lavoratori, come imprenditori, come capi-famiglia, siamo tutti in attesa che questo nodo venga definitivamente sciolto, liberando il sistema produttivo italiano da una morsa che rischia di imprigionarlo sempre più.
Spetta al quadro politico nel suo insieme adoperarsi per sciogliere questo nodo. Spetta a loro adottare scelte di coraggio in un panorama che tende al grigio. Un grigio non certo rischiarato dalla indecente gara a chi la spara più grossa cui stiamo assistendo in questi giorni di campagna elettorale.
Fino a quando si continuerà a curare con l’aspirina qualcosa che sembra essere molto più grave di un banale raffreddore, temo che davvero le cose siano destinate solo a peggiorare.

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI