Quanto durerà l’autunno del nostro Paese?

___________________________________di Dino Perrone

 

 
Il Pil italiano non accenna a migliorare. Aumenta il tasso di disoccupazione. La ripresa stenta a decollare. Insomma, la crisi è destinata a farci sgradita compagnia ancora a lungo. E ciಠche continua drammaticamente a mancare è una visione d’insieme dei problemi.
 
Si dice comunemente che “non esistono pi๠le stagioni di una volta”.
Ed almeno in parte è proprio vero, dal momento che, anno dopo anno, è sempre pi๠difficile che i fenomeni meteorologici seguano pedissequamente la classica scansione trimestrale delle stagioni. Primavera, estate, autunno, inverno. E poi di nuovo primavera, estate e via così…
Ciಠche vale per le crescenti incertezze climatiche, che ormai rendono particolarmente ballerini sia i termini iniziali che finali delle tradizionali stagioni, vale ancor di pi๠per la situazione sociale ed economica del nostro Paese.
La domanda da porsi, infatti, è la seguente: quanto effettivamente ancora durerà  l’autunno del declino italiano ?
Nessuno sembra in grado di fornire una credibile risposta.
Quel che appare chiaro in tutte le previsioni, anche in quelle maggiormente spruzzate di ottimismo, è che questo particolare autunno non finirà  certo fra tre mesi, come invece dovrebbe essere per le tradizionali stagioni.
E poi vi è un secondo dilemma al quale, parimenti, non è facile rispondere a cuor leggero.
A questo autunno, cioè, cosa davvero seguirà  ? Finalmente la primavera della tanto auspicata ripresa o piuttosto l’inverno dell’inasprirsi di una crisi che, scaturita dal mondo della finanza, ha pesantemente coinvolto le imprese, il lavoro, la famiglia, le persone ?
La risposta è tutta nei comportamenti che il sistema Italia si dimostra   in grado, sin da oggi, di voler davvero porre in essere.
Le premesse, tuttavia, non sono certo incoraggianti.
Secondo le stime di Confindustria, infatti, il nostro Prodotto interno lordo per abitante è tornato, in termini assoluti, agli stessi livelli del 1997 e per la fine del prossimo anno i posti di lavoro perduti per colpa della crisi saliranno ad un milione e mezzo, con il tasso di disoccupazione che schizzerà  oltre il dodici per cento.
Cifre da brivido, per un Paese che rischia di affrontare le ulteriori “gelate” in arrivo nei prossimi mesi senza la “coperta” di un piano per la crescita messo già  a pieno regime.
E qui entrano pesantemente in gioco i ritardi governativi e le incertezze di un quadro politico che, piuttosto che affrontare di petto le questioni, tende semmai a banalizzarle.
Tutti parlano infatti della necessità  di assicurare al sistema una maggiore crescita ed una migliore produttività . Ma a queste pur lodevoli affermazioni di principio non seguono quasi mai comportamenti coerenti.
Soprattutto, a latitare drammaticamente è proprio la visione d’insieme del Paese.
Così si continua a chiedere, di volta in volta, sacrifici a questo o quel settore produttivo, a questa o quella categoria. Il tutto secondo una logica divisiva che allontana, pi๠che avvicinare, la reale soluzione dei nostri problemi.
Ha ragione, allora, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco quando sostiene che, per assicurare pi๠produttività  e stabilità  al nostro Paese, “occorre agire su tutti i fattori, come la legalità , il capitale umano ed eliminare lacci e lacciuoli”.
Ma agire su tutti i fattori che frenano l’azione di risanamento richiede, appunto, una visione d’insieme che ormai difetta in un ceto politico abituato da troppo tempo a salvaguardare semplicemente l’interesse della propria parte.
Un ceto politico dominato da troppi fattori ed interessi tutti diversi che, anche se legittimi, influenzano negativamente il momento delle scelte.
Ecco perchè si tende a preferire la logica della parcellizzazione, alla quale neppure questo esecutivo di formazione tecnica è stato finora in grado di contrapporsi con efficacia.
Così il peso di una crisi economica sempre pi๠insostenibile e drammatica nei suoi risvolti sociali continua a venire trasferito, di volta in volta, sulla schiena di questa o quella categoria, di questo o quel settore produttivo, di questo o quel ceto sociale.
Si trasferisce il peso, senza provare ad alleggerirlo.
E non è certo questo il modo migliore per affrontare una crisi che, per le sue ricadute sociali, è certamente la pi๠lunga e violenta del Dopoguerra.
 

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI  


 

 

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