Il voto politico di fine febbraio ha scattato la fotografia di una Italia frammentata e difficilmente governabile.
Una istantanea, questa, che non puಠche allarmare quanti hanno a cuore le sorti presenti e future di un Paese che attraverso le urne, magari anche in forma contraddittoria ed apparentemente protestataria, ha comunque espresso una chiara richiesta di cambiamento.
Richiesta avanzata anzitutto alle forze politiche degli schieramenti tradizionali che, in questa occasione, hanno pagato in maniera dura ed evidente il loro progressivo deterioramento dovuto alla mancanza di un vero radicamento nel sociale.
A questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti che la ricreazione è finita.
Eâ ora che la politica, nel suo insieme, torni ad occuparsi della realtà . Altrimenti sarà la realtà a fare a meno della politica. Di questa politica.
Eâ ora che la politica âfaccia le coseâ, occupandosi e preoccupandosi delle persone e dellâeconomia reale, così sottraendosi allâinvadenza dei mercati e dello spread.
Occorre uno sforzo comune, dunque, nellâinteresse del Paese.
Certo, allo stato sembra piuttosto problematico trovare la giusta quadratura del cerchio. Ma proprio a questo compito è chiamata la politica, a rendere cioè possibile quello che appare complicato, a semplificare la complessità . A tornare ad essere visione e progetto e non invece estenuato e vacuo esercizio del potere.
Ci aspettano infatti anni durissimi.
La fiducia delle famiglie italiane è precipitata al minimo storico, mentre il mercato del lavoro ha perso in soli due mesi 186mila occupati. A tutto ciಠsi aggiunge una domanda interna che non decolla ed un costo sempre eccessivo del credito che continua, peraltro, ad essere erogato con il contagocce.
Lâindustria, frattanto, ha inanellato il dodicesimo calo consecutivo dei ricavi totali. Siamo insomma un Paese fermo mentre tutto intorno è in fermento.
Oggi sono pi๠che mai indispensabili politiche che sappiano ricreare un contesto favorevole agli investimenti, alla specializzazione ed allâinnovazione.
Quella che è clamorosamente mancata finora, infatti, è stata proprio una strategia capace di coniugare con chiarezza rigore e sviluppo.
Il rigore è stato declinato solo sul fronte di una eccessiva ed oramai insostenibile tassazione per famiglie ed imprese, senza peraltro intaccare il tab๠dellâabnorme spesa pubblica e dellâestrema burocratizzazione dello Stato.
Lo sviluppo, a sua volta, in queste condizioni è rimasto desolatamente lettera morta.
Lâesito del voto politico, proprio per la sua complessità , richiede risposte ineludibili. Risposte che siano in grado di affrontare con la determinazione e la forza adeguate tutte le sfide poste innanzi al Paese.
Sappiamo infatti che non vi è alternativa.
O si torna finalmente a crescere, rilanciando lâeconomia, lâoccupazione ed i consumi, tornando così a dare respiro allâintero Paese, oppure lâItalia è destinata ad imboccare definitivamente la strada di un declino senza ritorno.
Il governo che verrà , qualunque esso sia, è chiamato a sciogliere questi nodi, mostrando la necessaria dose di autorevolezza e decisione. Deve trattarsi appunto di un âgoverno del fareâ, lontano dai vuoti bizantinismi che hanno impoverito lâagire politico degli ultimi anni ed in grado di riaccendere il motore dellâeconomia reale.
Ripeto, non vi sono alternative.
La barca è solo questa. Ed è il momento che tutti remino finalmente convinti nella stessa direzione. Altrimenti il naufragio sarà inevitabile.
Dino Perrone