Natale 2020

 

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse (Is. 9, 1)

 

Questa profezia di Isaia che riascoltiamo nella liturgia del Natale risuona con particolare forza quest’anno in cui «fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti».[1]

La pandemia ha colto di sorpresa tutti. È stata una tempesta non prevista e non desiderata, dalla quale anzi pensavamo di essere protetti per la convinzione di potere attraversare immuni il mare di questo mondo sconvolto da una globalizzazione che ha creato, assieme a innegabili progressi, disuguaglianze irresponsabili. Avevamo coltivato l’illusione che il virus fosse facilmente contenibile e, invece, dolorosamente abbiamo assistito alla manifestazione della sua forza, che stordisce e rivela chi realmente siamo: gente fragile e debole.

Le conseguenze della pandemia sono difficili da valutare. Certamente dobbiamo aspettarci nelle prossime settimane una “piena” di povertà che può travolgere i tanti precari che hanno perso le fonti di sussistenza e i “penultimi” che precipitano nella miseria.

Un recente focus del Censis e di Confcooperative rivela che la metà degli italiani (50,8%) ha sperimentato un’improvvisa caduta delle proprie disponibilità economiche, con punte del 60% fra i giovani, del 69,4% fra gli occupati a tempo determinato, del 78,7% fra gli imprenditori e i liberi professionisti. La percentuale fra gli occupati a tempo indeterminato ha in ogni caso raggiunto il 58,3%.

C’è ne abbastanza per dire che siamo in un tempo di buio.

Eppure in questo tempo ancora una volta, il Signore viene, testardamente e sicuramente, perché il Dio di Gesù non cessa mai di venire a visitare il suo popolo e piantare saldamente la sua tenda nel mezzo delle vicende umane. Non ha orari da rispettare, non chiede condizioni favorevoli, non ha neanche bisogno di una casa tutta sua per venire al mondo – il nostro – così come esso è in questo momento. Mentre si fanno serrate le maglie del contagio, un’altra carne si affaccia all’orizzonte, debole come la nostra ma forte come la promessa che porta in sé: Io sono la tua pace. È la carne del Figlio di Dio, dell’Emmanuele, del Dio-con-noi! «Non c’è pandemia – ha detto papa Francesco – non c’è crisi, che possa spegnere questa luce: lasciamola entrare nel nostro cuore».

Troverà ancora uomini e donne che attendono qualcosa? Troverà ancora uomini e donne impazienti di incontrare, progettare, condividere e donare? Troverà ancora uomini e donne contenti di tornare alla vita di ogni giorno perché ogni giorno abbia più vita?

Cambieremo? Dipende da noi. Non saremo necessariamente migliori perché abbiamo vissuto la pandemia, perché il male ci può rendere peggiori, confermarci nella diffidenza, farci diventare più competitivi e aggressivi verso gli altri avvertiti come nemici o concorrenti. È necessario essere all’altezza delle sfide da affrontare, con serietà, uscendo da una politica mediatizzata e superficiale che porta all’enfasi e parla alla pancia, che afferma quello che conviene oggi e non quello che serve per davvero per domani, prigioniera di posizioni ideologiche senza ideologia.

Per cambiare è necessario accogliere il dono della speranza che viene da Cristo. È lui che ci aiuta a navigare nelle acque tumultuose della malattia, della morte e dell’ingiustizia!

Con Lui potremo alzare lo sguardo e sognare il giorno in cui le mascherine non nasconderanno più il nostro viso; l’attimo in cui le mani potranno finalmente stringersi e i corpi toccarsi; il tempo in cui la carne non sarà più un ostacolo ma un ponte che conduce alla pienezza dell’amore, dell’amicizia, della solidarietà e della fraternità.

Cominceremo a rialzare un paese e una vita abbattuti solo se un giorno riusciremo a vedere, con gli occhi dell’anima, l’immagine di noi stessi nell’opera della ricostruzione. Prima dobbiamo vederlo, almeno sognarlo, e solo dopo possiamo iniziare a ricostruire. E il giorno in cui riprenderemo in mano il primo mattone, la speranza avrà cominciato a generare l’inizio della salvezza. Niente più dell’inizio di una nuova opera dice speranza.

Una bottega artigiana, un ufficio, un cantiere che riaprono quando tutti sono pietrificati dal dolore, dalla paura, dalla delusione, è veramente partecipazione e continuazione dell’opera creatrice del mondo. Mentre raccogliamo le pietre e le ricomponiamo una alla volta, stiamo ripetendo: “sia la luce”, sia la vita, sia l’Adam che riplasmiamo dalla terra con le nostre mani.

La figura di Giuseppe

Nell’anno in cui papa Francesco ci invita a guardare in maniera particolare alla figura di San. Giuseppe[2], contempliamolo nel presepe.

«Tutti – scrive il papa – possono trovare in san Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in seconda linea hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza».

Nella Lettera apostolica con cui indice un anno particolare dedicato a San Giuseppe, Papa Francesco descrive in modo tenero e toccante la sua figura.

Giuseppe padre dell’accoglienza

Poche sono le tracce della sua vita che troviamo nei Vangeli, eppure sono sufficienti a delinearne il volto di uomo capace di accogliere nella sua vita ciò che accade, anche gli avvenimenti a prima vista incomprensibili.

Posto di fronte ad un fatto inaudito – Maria, sua fidanzata, è incinta – Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto ciò possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contradditoria, inaspettata, deludente dell’esistenza.

La venuta di Gesù in mezzo a noi è un dono del Padre, affinché ciascuno si riconcili con la carne della propria storia anche quando non la comprende fino in fondo.

Padre dal coraggio creativo

Non basta fare spazio dentro noi stessi anche a ciò che non abbiamo scelto nella nostra vita, occorre aggiungere un’altra caratteristica importante: il coraggio creativo. Esso emerge soprattutto quando si incontrano difficoltà. Davanti a una difficoltà, ci si può, infatti, fermare e abbandonare il campo, oppure ingegnarsi in qualche modo. Sono, a volte, proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere.

E Giuseppe è uno che non si arrende. È, infatti, colui che – di fronte al mondo che ci mostrano i Vangeli dell’infanzia, un mondo che sembra essere in balia dei poteri forti: un imperatore che vuol contare i suoi sudditi, un governatore, Erode, che teme per il suo potere, una società che non fa posto a chi è in viaggio… – non cede: trova una stalla e si mette in cammino verso l’Egitto.  Anche la nostra vita a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta, Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazaret, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità, anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza.

Padre lavoratore

In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui san Giuseppe è esemplare patrono.

Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia.

La persona che lavora, qualunque sia il suo compito, collabora con Dio stesso, diventa un po’ creatore del mondo che ci circonda. La crisi del nostro tempo, che è crisi economica, sociale, culturale e spirituale, può rappresentare per tutti un appello a riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro per dare origine a una nuova “normalità”, in cui nessuno sia escluso. Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore – conclude il papa – perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!

Auguri

Andiamo insieme a Betlemme, “casa del pane”, per riscoprire che la vita di Dio scorre nelle vene dell’umanità: avremo occhi per riconoscerLo presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente; ritroveremo il coraggio per dare spazio a una nuova immaginazione sociale, impareremo a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire di non avere un posto in questa terra.

A ciascuno di voi e alle vostre famiglie, fraterni auguri di buon Natale!

 

 

don Antonio Mastantuono
Consulente ecclesiastico ACAI

 

[1]Papa Francesco, Meditazione nel Momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia (27 marzo 2020).

[2] In occasione del 150.mo anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale, nel giorno dell’Immacolata papa Francesco ha pubblicato la Lettera apostolica Patris cordeCon cuore di Padre, con cui ha indetto uno speciale “Anno di San Giuseppe” (8 dicembre 2020 – 8 dicembre 2021).