Matterella scelta di stabilità

La rielezione di Sergio Mattarella a capo dello Stato è un chiaro segnale di stabilità che l’Italia delle forze politiche ha consegnato al Paese.

Segnale importante, al termine di una settimana di votazioni quirinalizie che non ha fatto mancare invece contraddizioni, sfasature, tensioni assortite. Alla fine è prevalsa la linea della continuità ed il secondo settennato di Mattarella si è potuto aprire su un panorama che comunque non è dei più sereni.

Sul tavolo del governo ci sono tanti dossier aperti.

Dalla messa sul terreno del PNRR alla riforma della giustizia non più differibile, passando per azioni dirette a favorire la coesione sociale e diminuire la precarietà del lavoro. E tutto questo senza dimenticare quella che speriamo sia la fase finale della pandemia, da gestire con oculatezza e senza abbassare la guardia.

Nel suo discorso al Parlamento, il capo dello Stato ha esortato tutti a “ricostruire il Paese”. Parole non banali. Parole da soppesare con attenzione.

Questa “ricostruzione” non è solo materiale, ma anche e prima ancora morale.

C’è una Italia sfilacciata e sfibrata con la quale fare i conti.

Una Italia che, negli ultimi due anni, proprio con l’esplosione dell’emergenza sanitaria ha visto acuirsi le diseguaglianze. Diseguaglianze tra strati sociali ed aree territoriali che hanno finito con il mostrare in molti casi l’incapacità della classe dirigente di affrontare tutto ciò con strumenti adeguati.

Questo ha prodotto un clima sociale incattivito. Ha allontanato gli uni dagli altri e non ha alleviato le sofferenze della parte più debole della popolazione.

Ora, proprio alla luce del severo monito di Mattarella, bisogna avere il coraggio di avviare politiche redistributive in grado di ridurre la forbice che separa chi ha tanto, persino troppo, da chi ha poco, persino niente.

Ed allora questo segnale di stabilità che indubbiamente è la cifra caratterizzante la rielezione del capo dello Stato ci piace leggerlo non quale impotente immobilismo, come pure gli osservatori più critici già fanno, ma come il suo esatto contrario. Vale a dire come la premessa indispensabile per un cambio di passo non più rinviabile.

Stabilità quindi, al Quirinale come al governo, intesa a rappresentare la base solida sulla quale avviare un discorso di concreto cambiamento dell’esistente. Stabilità come unità d’intenti su una idea di Paese realmente condivisa e che poggi, appunto, sulla capacità di trovare accordi e soluzioni anche sui terreni più accidentati.

La “moral suasion” di Sergio Mattarella, vale a dire la sua esortazione a correggere scelte o comportamenti che certamente non aiutano a risolvere i problemi non è mai venuta meno in questi anni. Ma da sola non basta.

Ad essa deve accompagnarsi, doverosamente, la capacità dell’intero sistema di emendarsi dagli errori compiuti. Altrimenti il nostro Paese resterà sospeso nel limbo delle buone intenzioni.

E la primavera, intesa come generale rifioritura della società italiana, tarderà ancora una volta ad arrivare.