La paura e i pannicelli caldi

________________________________di Dino Perrone

 

 

La ripresa stenta, la disoccupazione cresce, la sfiducia aumenta. Fino a quando la sola vitalità delle imprese potrà tenere ancora in piedi un Paese che sembra barcollare ad ogni passo ?
 
Era fin troppo facile prevedere che gli ottanta euro mensili elargiti dal Governo Renzi sarebbero stati solo un pannicello caldo del tutto insufficiente a contrastare adeguatamente la gelata dei consumi abbattutasi sul nostro Paese per effetto della crisi.
La conferma è venuta dai dati recentemente resi pubblici dall’Istat secondo i quali la propensione alla spesa è risultata invariata, nonostante nel terzo trimestre del 2014 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici italiane, anche per effetto del bonus governativo, sia aumentato dell’1,8% rispetto al trimestre precedente.
L’aumento del reddito non si è insomma tradotto in un aumento dei consumi, ma ha favorito semplicemente la già presente propensione al risparmio delle famiglie italiane, secondo una strategia conservativa e di difesa che la crisi economica ha reso necessaria.
Ciò conferma quanto sia ancora lunga, ed in salita, la strada da percorrere per arrivare invece ad un significativo e duraturo cambio di passo che conduca oltre la palude di una congiuntura negativa che sta avvelenando il clima e la stessa grammatica sociale dell’intero Paese.
Serve una massiccia iniezione di fiducia che sia accompagnata da una operazione di chiarezza sulla direzione che si vuol dare al sistema Italia.
Finora tutto questo è mancato, o perlomeno è stato largamente insufficiente. E le conseguenze si vedono.
Abbiamo a che fare con una larghissima fetta del Paese che ancora non si fida, che ha paura, che resta ferma, non investe, non scommette sul futuro.
Questa parte del Paese deve essere al più presto recuperata, stimolata, rassicurata.
Se le cose non mutano, infatti, temo che anche nei prossimi mesi avremo a che fare con nuclei familiari sempre preoccupati più di risparmiare che di consumare. E la crisi continuerà ad avvitarsi su se stessa, senza sbocchi.
La persistente latitanza della domanda interna, d’altronde, continua ad essere favorita proprio dalla drammatica situazione occupazionale in cui ci si dibatte da troppo tempo. Ciò rende necessario accelerare gli interventi capaci di allargare la base produttiva con la creazione di nuovi posti di lavoro.
E’ questa la vera urgenza con la quale fare i conti.
Nella rilevazione sulle forze lavoro effettuata dall’Istat si è registrato il secondo calo mensile, consecutivo, del numero di  occupati con una contrazione ad ottobre scorso di 65mila unità ed all’ultimo novembre di 48mila unità. In soli due mesi, quindi, sono spariti oltre 100mila posti di lavoro in più creati nei mesi precedenti, facendo tornare la bilancia in segno negativo rispetto anche al tremendo 2013.
Ciò conferma la grandissima difficoltà di un mercato del lavoro che non riesce a decollare e nel quale la disoccupazione giovanile ha raggiunto il raggelante tasso del 44%. Cifre che non inducono ad alcun ottimismo, neppure di facciata.
Non meraviglia, perciò, che la stessa Banca d’Italia abbia dovuto rivedere al ribasso le stime del nostro prodotto interno lordo per l’anno appena iniziato, prevedendo una crescita modesta di appena lo 0,4%. Questo vuol dire che anche nei prossimi mesi il Paese resterà sostanzialmente fermo.
In queste condizioni è illusorio pensare ad una significativa ripresa dell’occupazione e quindi della stessa della domanda interna.
Fino a quando potrà bastare a reggere la baracca la sola vitalità delle imprese ?
E per altro verso, sarà sufficiente il nuovo contratto a tutele crescenti a favorire l’occupazione abbattendo il cuneo fiscale ?
Interrogativi pesanti che meritano risposte ponderate.
Prima ho scritto che c’è un Paese che ancora non si fida e che ha paura.
Ebbene, è proprio a questo tipo di Paese che il governo deve guardare.
E’ questo il Paese che deve tenere bene a mente il premier Renzi per avviare quei meccanismi capaci di assumere decisioni forti per stimolare gli investimenti delle imprese e la domanda interna, attraverso una ripresa produttiva oggi mortificata da una congiuntura di così ampia sofferenza che rende difficoltoso lo stesso mercato del lavoro.
I granelli di sabbia nella clessidra stanno infatti finendo. Ciò vuol dire, semplicemente, che non c’è altro tempo da perdere.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI