La fatica di governare

La realtà è sempre qualcosa, allo stesso tempo, più ruvida e scivolosa di come la si può immaginare. Vale per le persone come per i governi.

E questo assioma lo sta vivendo sulla propria pelle anche l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni e messo in piedi all’indomani delle elezioni politiche dello scorso settembre.

Governare è sempre faticoso. Governare poi nella situazione attuale, appesantita dalla coda infinita del Covid e dalle ricadute economiche della guerra ancora in atto in Ucraina, è mestiere, se non proprio arte, oltremodo difficile da praticare.

Ed infatti i primi passi del nuovo governo non sono stati certo agevoli.

Forse sarebbe stato il caso di evitare provvedimenti “spot” come è immediatamente parso quello cosiddetto sui “rave party” che non a caso sembra destinato ad avere opportuni aggiustamenti in sede parlamentare.

Forse sarebbe stato meglio concentrarsi, da subito, sul tema rovente del caro-bollette e semmai lasciare da parte la spinosa materia del nuovo tetto al contante.

Non sappiamo se ciò sia frutto di inesperienza, nonostante la compagine governativa presenti in molti dicasteri volti già visti e collaudati, o piuttosto sia il lucido calcolo politico di un governo che sin da subito vuole dare un marchio identitario alla propria azione.

Certo è che le questioni sul tappeto sono davvero tante e richiedono interventi quanto mai incisivi. Alle porte di Palazzo Chigi bussano le imprese e le parti sociali chiedendo nuovi aiuti, tagli al cuneo fiscale, politiche del lavoro che si aprano alle giovani generazioni.

Giorgia Meloni ha davanti una montagna da scalare e ne è ben consapevole. Il suo esecutivo avrà un futuro stabile solo se saprà abbandonare la logica muscolare che sembra affiorare in alcune sue componenti e calarsi umilmente, invece, nella realtà profonda di un Paese che vuole tranquillità e certezze anzitutto sul fronte economico.

In questa direzione vanno le misure contenute nel “Decreto Energia” che mette a disposizione oltre nove miliardi che, a detta della Meloni, “andranno a beneficio di tutto il tessuto economico e sociale italiano”. Speriamo davvero che sia così, come speriamo anche che la detassazione fino a tremila euro dei fringe benefit aziendali si traduca in un reale incremento di stipendio per i lavoratori.

Primi passi, dunque. Prime misure, prime speranze.

Ma anche, come detto, prime contraddizioni. Ed è su queste ultime che bisognerà lavorare sodo, coinvolgendo le stesse opposizioni sui temi di maggior rilievo. Non si governa infatti mai veramente “da soli” e soprattutto non si governa esclusivamente “contro”.

Lo diciamo alla Meloni, ma non solo.

Questo discorso vale infatti anche per quanti hanno perso le elezioni, chiamati a fornire comunque un contributo alla ripresa di un Paese che ha tutte le capacità per ripartire. Oggi le opposizioni sembrano smarrite e divise, intente a regolare le loro questioni interne. Ma anche il loro sguardo deve andare oltre il recinto delle coalizioni e delle appartenenze, per misurarsi sulle questioni concrete ed incalzare chi ha oggi responsabilità di governo.

A ben pensarci, la malattia più grave di cui pare affetta oggi la politica è quella di essere immersa in un presente che logora tutto e tutti e che, inesorabilmente, consuma valori e credibilità. Ma senza memoria non c’è futuro e, per avere la prima e costruire il secondo, bisogna invece intraprendere un cammino di lungo corso, fuori da populismi e giacobinismi. Il futuro si costruisce con la solidità della memoria e l’intelligenza umile di aggirare le trappole di un presente litigioso e inconcludente.

Ed a questo compito, ognuno per la sua parte, siamo chiamati tutti.