In un Paese che frana ed annega, purtroppo non solo in senso metaforico, la politica sembra avere smarrito il proprio senso. E persino la stabilità del quadro politico rischia di diventare non uno stimolo ma un fattore di tensione
LâItalia, dopo gli eventi luttuosi che hanno colpito la Sardegna, è costretta a piangere ancora una volta le vittime innocenti di disastri che si fatica sempre pi๠a ritenere dovuti solamente alle calamità naturali, dal momento che chiamano pesantemente in causa una gestione scriteriata del territorio.
Intanto, nei palazzi della politica si vivono momenti di grande fermento dovuti non solo alla nascita di nuovi soggetti parlamentari ma anche allâapprossimarsi di scadenze partitiche sempre pi๠importanti.
Aumentano così le fibrillazioni ed il percorso dellâesecutivo delle âlarghe inteseâ torna a farsi accidentato proprio quando ci attende il giudizio dellâEuropa sulla versione definitiva della Legge di Stabilità .
Torna a dominare lâincertezza e non mancano le pulsioni di quanti vorrebbero un repentino ritorno alle urne.
Il quadro risulta dunque incerto e non favorisce quella esigenza di stabilità che molti ritengono la premessa ineludibile per riprendere un discorso di sviluppo per il Paese.
Stabilità , tuttavia, non deve significare immobilismo.
La stabilità politica, infatti, non puಠessere considerata una risorsa disgiunta dal necessario dinamismo delle scelte. Questo perché la politica, almeno quella che ambisce a qualificarsi come âbuona politicaâ, è appunto scelta consapevole fra le tante opzioni possibili.
Lâimpressione, invece, è che oggi la politica non sappia pi๠scegliere e si limiti a galleggiare sui problemi. Sia preoccupata, cioè, solo di durare e non si preoccupi invece di incidere.
Ecco allora che la stabilità del quadro politico non diventa pi๠una risorsa ma si trasforma, al contrario, in un freno, una insostenibile zavorra per lo sviluppo del Paese.
Ha un bel dire il premier Letta che âla ripresa è a portata di manoâ se poi questa âmanoâ resta immobile e non è in grado di afferrare neppure la coda di questa tanto auspicata e pi๠volte annunciata ripresa.
Oggi ci troviamo appunto in questa condizione.
La politica rinvia le scelte di fondo, rimanda nel tempo le azioni pi๠coraggiose che potrebbero favorire quel cambio di passo pi๠che mai necessario per consentire allâItalia di superare la crisi e riprendere un cammino di sviluppo meno accidentato ed impervio.
In questa ottica si spiega, ma certo non si giustifica, la persistente âtimidezzaâ governativa in materia di effettiva riduzione del cuneo fiscale.
La tassazione che continua a gravare sul lavoro e sulle imprese sta prosciugando ogni residua energia del sistema produttivo italiano, rendendo di fatto impossibile il rilancio della domanda interna che costituisce la premessa necessaria per ridare ossigeno anche ai consumi. Eâ una situazione denunciata da tempo, rispetto alla quale perಠnon si riesce ad andare oltre la ritualità degli annunci.
Stesso discorso in tema di tagli alla spesa.
Lâapposito Comitato interministeriale presieduto dal premier si è dato lâobiettivo di arrivare ad una riduzione di 32 miliardi nei prossimi tre anni, con la possibilità di una sforbiciata di un miliardo e mezzo già nel 2014.
Si passerà dalle parole ai fatti ?
La storia ci suggerisce di nutrire qualche dubbio, considerando anche lâestrema vaghezza di misure che dovrebbero riguardare una platea vastissima di settori di intervento che vanno dal pubblico impiego alla sanità , dai costi della politica alle procedure per gli appalti, dagli enti locali alle dimensioni degli edifici scolastici per finire alle carceri, alle fiere, ai parchi, agli archivi di Stato ed agli enti lirici.
Tanta carne sul fuoco e non è chiaro se si correrà il rischio di scottarsi le dita o piuttosto di finire ghermiti dal troppo fumo. Soprattutto, si tratta di misure che richiedono una concordanza di vedute che, allo stato, non appare affatto scontata.
Sembra insomma di essere in presenza solo dellâennesima manifestazione di buone intenzioni di cui, come sappiano, è lastricata la via che conduce non solo allâinferno ma anche nei meandri della politica italiana.
Una cosa è certa. Al nostro Paese occorrono misure adeguate alla gravità della situazione, non pannicelli caldi destinati a non lasciare traccia. Occorrono interventi strutturali che alleggeriscano i troppi pesi che gravano su famiglie ed imprese.
Occorre insomma muoversi.
Puಠsembrare paradossale, ma la stabilità di un governo si misura proprio sulla sua mobilità , sul suo dinamismo. Sulla capacità , cioè, di adottare provvedimenti che modifichino lo stato delle cose. Che facciano muovere il Paese.
Se questo non avviene, qualsiasi governo, pi๠che stabile, diventa immobile. E finisce per ingessare lâintero Paese.