Un Paese che non desidera, non rischia, non crede

___________________________________di Dino Perrone

 

Questa è l’Italia descritta nell’ultimo rapporto del Censis. Un quadro impietoso che riflette una crisi dalle molteplici facce. L’augurio natalizio, allora, è di riuscire a trovare tutti insieme un linguaggio sociale che ci renda capaci di affrontare le sfide che abbiamo davanti.

E’ arrivato il Natale, puntuale come sempre. Menomale, viene da dire, osservando come ci sia sempre più bisogno di questo giorno di tregua, di questo insopprimibile segnale di speranza in un mondo che sembra invece andare a rotoli.
E puntuale proprio come il Natale, ma purtroppo senza l’annunzio di alcuna buona novella, anche quest’anno è arrivato il rapporto del Censis sulla situazione generale del nostro Paese.
L’autorevole istituto di ricerca, che da quasi mezzo secolo analizza  non solo la condizione sociale ed  economica ma anche quella sociologica e psicologica della società italiana, ci regala una istantanea impietosa della Nazione rifilando qualche sonoro ceffone a quanti professano un ottimismo sempre più logorato dalla realtà dei fatti.
Ed ancora una volta, come è ormai tradizione, il Censis ricorre ad alcune espressioni di indubbia efficacia comunicativa per descrivere lo stato delle cose.
‘Calo di desiderio’, ad esempio.
Con questa espressione, il Censis vuol denunziare la sostanziale apatia che attraversa la nostra società. Una società che sembra non sapere più cosa volere, cosa appunto desiderare. Uno stato psicologico che investe, allo stesso tempo, bambini ed adulti, con i primi, secondo i ricercatori del Censis, quasi ‘obbligati a godere di giocattoli mai chiesti’
Altra parola-chiave utilizzata nel rapporto è poi ‘ameba’.
 E’ lo stato cui è ridotta l’Italia a giudizio dei ricercatori. Vale a dire una entità informe, senza spina dorsale, incapace di avere uno scatto per riprendere il cammino.
Certo il Censis non è il Vangelo.
Su alcune considerazioni è legittimo perciò esprimere qualche riserva o non essere affatto d’accordo, ma tuttavia non è possibile mettere seriamente in discussione l’impianto generale della ricerca.
Il nostro Paese è in crisi. E non da oggi.
Ed è una crisi che ha molte sfaccettature. Sociali, economiche, culturali, psicologiche e sociologiche. Tutte quelle appunto analizzate in questo ultimo rapporto del Censis.
La nostra società sembra aver smarrito alcuni suoi fondamentali. Dalla famiglia alla politica, dall’educazione all’impegno civile. C’è un rifugio nella dimensione privata che ha ben poco in comune con la riscoperta dei valori familiari e domestici e molto invece con un soprassalto di egoismo incontrollato.
Rischiamo di diventare il Paese che si gira dall’altra parte, che non vuole osservare il disagio, che non vuole essere disturbato, che è pronto a mostrare gli artigli solo per difendere i suoi privilegi camuffandoli per intangibili diritti.
Rischiamo, soprattutto, di diventare un Paese che si allontana dall’Europa.
Guardiamo ad esempio all’economia. Già oggi abbiamo la percentuale più bassa di ricorso agli orari flessibili e siamo al di sotto della media europea nell’adozione di modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda.
Anche la voglia di intrapresa, nel nostro Paese, sta subendo da anni un calo significativo e sono sempre meno coloro che hanno la voglia, ed il coraggio, di mettersi in proprio.
In quella che fino a pochi anni addietro era descritta come la patria del lavoro autonomo e imprenditoriale stiamo infatti assistendo alla drastica riduzione della componente del lavoro non dipendente.
Dal 2004 al 2009, in particolare, c’è stato un saldo negativo di 437mila imprenditori e lavoratori autonomi. E tutto questo proprio mentre in Europa e nel resto del mondo si cerca di incentivare l’auto-imprenditorialità.
Insomma questa ‘letterina natalizia’ spedita all’Italia dal Censis è molto diversa, e soprattutto meno rassicurante, di quella che da bambini facevamo trovare sotto il piatto del pranzo di Natale.
La nostra era piena di ingenue buone intenzioni affidate, per il loro alto tasso di inaffidabilità, all’indulgenza preventiva dei nostri genitori.
Questa del Censis ci richiama ruvidamente all’esigenza di costruire un Paese che sappia riscoprire il gusto del rischio e sia disposto ad affrontare qualche necessario sacrificio.
Ed allora, proprio in questo periodo di festività natalizie, è forse il caso di riflettere sulla necessità di elaborare una nuova grammatica sociale che sia capace di parlare un linguaggio a tutti comprensibile.
In fondo, il miglior augurio che possiamo rivolgere a noi stessi ed al nostro Paese è proprio quello di ritrovare una più alta densità morale ed una più marcata sobrietà civile che oggi, invece, ci sembrano del tutto smarrite.


Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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