Stiamo assistendo ad una campagna elettorale francamente molto deludente.
Una campagna elettorale fin troppo nervosa e convulsa, nella quale purtroppo ancora latitano quegli elementi di chiarezza necessari ad orientare le scelte responsabili di ognuno.
Le schermaglie dialettiche di queste settimane rischiano di allontanarci dal fuoco dei problemi reali che incombono sul Paese, con il rischio che anche lo slogan pi๠sconclusionato o la promessa pi๠irrealistica finiscano per avere la meglio sul merito delle questioni.
Nulla di nuovo, si dirà .
Eâ già accaduto anche in passato. Ed il voto, troppo spesso, è stato lâespressione di un premio non tanto a ciಠche le forze politiche si erano mostrate in grado di fare prima ma, pi๠fideisticamente e persino in maniera ingenua, a ciಠche quelle stesse forze politiche assicuravano sarebbe stato finalmente fatto dopo.
Il voto, dunque, come pericolosa cambiale in bianco.
Ma oggi, in un Paese che i principali indicatori socio-economici descrivono come ingabbiato, piegato su se stesso e profondamente sfiduciato, questa estrema vaghezza di contenuti non puಠcontinuare ad essere sostituita dal consueto rosario delle buone intenzioni.
Tutti coloro che legittimamente si candidano a guidare il Paese nei prossimi anni debbono avvertire il dovere di uscire dalle generiche dichiarazioni dâintenti per proporre ricette finalmente chiare agli italiani.
Si tratta di dire agli elettori non solo cosa si vuol fare ma anche in che modo, e soprattutto con quali tempi e risorse, lo si vuol fare.
Partiamo, ad esempio, dal nostro sistema delle imprese. Un sistema dalle enormi potenzialità ma dalle altrettanto enormi insufficienze.
Si tratta, in questo caso, di andare oltre le fin troppo facili dichiarazioni di principio sulla necessità di una minore pressione fiscale, di uno snellimento della burocrazia e di un aumento delle infrastrutture.
Si tratta di passare ai fatti. Finalmente ai nudi fatti.
Si tratta di delineare, cioè, un percorso chiaro che conduca ad una politica industriale altrettanto chiara e non ondivaga e che veda le risorse provenienti dal carico fiscale non destinate esclusivamente al risanamento dei conti pubblici ma anche allâinnovazione ed alla ricerca.
Questo disegno organico di politica industriale è finora mancato, sia nelle esperienze di governo del centrodestra come in quelle del centrosinistra e dello stesso esecutivo di profilo tecnico guidato dal professor Monti.
Si è proceduto per tentativi, se non proprio a fari spenti, spesso in contraddizione rispetto al lavoro cercato di portare avanti dagli esecutivi precedenti. Lâassenza di un disegno strategico unico e coerente con una idea di sviluppo finalmente condivisa rappresenta, allo stato, una terribile e pesantissima ipoteca su qualsiasi ipotesi di sviluppo del sistema imprenditoriale italiano.
Su questi temi lâAcai chiede a tutti gli schieramenti in campo di fare estrema chiarezza.
Di dire, ripeto, non solo cosa si vuol fare, ma anche in che modo, con quali tempi e risorse, lo si vuol fare.
Questo vale non solo per le imprese. Vale, a maggior ragione, anche per lâeconomia reale delle famiglie italiane.
LâIstat ci dice che il potere di acquisto dei nostri nuclei familiari continua drammaticamente a calare, con la conseguenza che anche i consumi scendono in picchiata.
Il 2012 è infatti passato agli archivi come lâanno peggiore del dopoguerra per quanto riguarda appunto i consumi. Quasi tutti i comparti, dallâalimentare allâabbigliamento, dagli alberghi ai servizi per la mobilità , hanno chiuso con il segno negativo.
E qui ritorna lâesigenza di chiarezza. Chiarezza su come invertire questa tendenza, come sostenere i redditi e quindi anche i consumi delle famiglie. A cominciare dallâaumento dellâIva previsto nei prossimi mesi e che, a detta di molti, potrebbe rappresentare la spinta finale per spingere nel burrone lâattuale residua propensione al consumo degli italiani.
Altro tema, stessa necessità di chiarezza. La disoccupazione, in special modo quella giovanile, ha denti sempre pi๠aguzzi che dilaniano la carne viva del Paese.
Su base annua il dato è aumentato di oltre il 21% e le previsioni per il 2013 non sono certo rosee. Siamo proprio sicuri che le politiche di solo rigore e la mancata lotta alle disuguaglianze non abbiano pesantemente inciso su questi scoraggianti risultati ?
Una cosa è certa. Non puಠavere futuro un Paese che lascia senza lavoro un giovane su tre.
Chiarezza, dunque. Chiarezza su tutto, perché in gioco câè lâidea stessa di Paese che vogliamo costruire negli anni a venire.
Solo attraverso un doveroso esercizio di chiarezza, infatti, puಠindividuarsi la strada che conduce ad uno sviluppo sostenibile e realistico.
Dino Perrone