Famiglie che dichiarano redditi vicini allo zero e pensionati che non superano i 500 euro mensili. Sistema sanitario a rischio default e banche che non erogano credito sufficiente alle piccole imprese. Tutte fotografie di una Italia sullâorlo di una crisi di nervi
Che Italia siamo ?
Non è banale chiederselo, in coda ad un anno pesantissimo che ha frantumato molte delle antiche ed apparentemente consolidate certezze sulle quali siamo stati cullati troppo a lungo.
Siamo il Paese nel quale quasi un milione di famiglie dichiara un reddito molto vicino allo zero. In altri termini, un nucleo familiare su cinque è attualmente fuori dai parametri del Fisco. Lo ha sottolineato il direttore generale dellâAgenzia delle Entrate, Attilio Befera, durante la presentazione del Redditest, il software scaricabile online che dovrebbe consentire ad ogni cittadino, stando comodamente seduto dinanzi ad un computer, di capire se il proprio reddito dichiarato è compatibile con le spese effettivamente sostenute.
Questo da un lato.
Dallâaltro lato siamo anche il Paese nel quale ben il 52% dei pensionati dellâInps ha redditi inferiori ai mille euro mensili. Addirittura quasi due milioni e mezzo di nostri concittadini non superano i 500 euro al mese. La vita, per tutti costoro, somiglia molto ad una corsa ad ostacoli, meglio ancora ad una gara di resistenza per arrivare a tagliare il traguardo della pensione mensile. Un perenne tirare la cinghia con il rischio di finire strozzati.
Siamo poi il Paese in cui, per effetto della crisi, da una parte le italiane stanno tornando a fare le colf, entrando quindi in concorrenza con le badanti provenienti dallâestero, e dallâaltra gli apprendisti sono calati quasi di mille unità .
Ed ancora, siamo il Paese che scopre che il proprio sistema sanitario rischia la paralisi e che nei prossimi decenni la spesa del settore è destinata a lievitare in maniera insostenibile a causa dellâaumento della durata media della vita. Anche vivere a lungo, insomma, in questa nostra Italia, rischia di costituire un problema serio per la tenuta economica del sistema.
Siamo inoltre il Paese che sta assistendo ad una preoccupante decimazione delle sue piccole aziende, cioè di quel diffuso reticolo di economia legata al territorio che tanto ha contribuito al benessere di svariate generazioni di italiani. Un reticolo che oggi presenta maglie sempre pi๠rotte, attraverso le quali fuggono altrove le speranze di una ripresa che si presenta ogni giorno pi๠problematica.
Un reticolo, soprattutto, incapace di accedere al credito bancario che continua ad essere erogato con il contagocce. Ancora non vi è traccia, infatti, del pi๠volte annunciato ripristino del flusso continuo di denaro dalle banche alle piccole e medie imprese.
Tutto questo mentre per le aziende persistono le difficoltà anche in tema di riscossione dei pagamenti, nonostante a gennaio scatterà la direttiva europea che impone di pagare entro il termine di sessanta giorni i debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese.
In questa situazione, appare davvero difficile contrastare il crescente pessimismo di quanti sostengono che molte aziende che abbasseranno le saracinesche per le festività natalizie non le solleveranno pi๠allâalba del nuovo anno.
Siamo tutto questo e molto altro. Siamo un Paese che in qualche modo, attraverso tanti tentativi, cerca di trovare una via dâuscita. Di provare ad andare avanti.
Ma siamo ancora un Paese felice ?
Anche questo non è banale chiederselo, dal momento che la felicità , addirittura quel diritto alla felicità costituzionalmente sancito negli Stati Uniti, sembra avere sempre meno cittadinanza in una società come la nostra che si presenta così frantumata ed ingrigita.
Siamo un Paese spezzato.
Un Paese nel quale la politica stenta a riassumere il proprio ruolo di guida responsabile e severa, mostrandosi invece troppe volte arruffona e proponendo soluzioni per lâimmediato futuro che, se non velleitarie, appaiono in larga misura pasticciate.
Si ha lâimpressione che molti degli attori politici in campo abbiano perso la reale percezione delle cose e che continuino ad avere una rappresentazione dellâItalia e degli italiani largamente superata dagli eventi.
Siamo un Paese, quindi, molto diverso da quello che avevano sognato e provato a costruire i nostri padri.
Un Paese, detto con franchezza, che i nostri figli non meritano sia lasciato loro in eredità .
Siamo il Paese nel quale quasi un milione di famiglie dichiara un reddito molto vicino allo zero. In altri termini, un nucleo familiare su cinque è attualmente fuori dai parametri del Fisco. Lo ha sottolineato il direttore generale dellâAgenzia delle Entrate, Attilio Befera, durante la presentazione del Redditest, il software scaricabile online che dovrebbe consentire ad ogni cittadino, stando comodamente seduto dinanzi ad un computer, di capire se il proprio reddito dichiarato è compatibile con le spese effettivamente sostenute.
Questo da un lato.
Dallâaltro lato siamo anche il Paese nel quale ben il 52% dei pensionati dellâInps ha redditi inferiori ai mille euro mensili. Addirittura quasi due milioni e mezzo di nostri concittadini non superano i 500 euro al mese. La vita, per tutti costoro, somiglia molto ad una corsa ad ostacoli, meglio ancora ad una gara di resistenza per arrivare a tagliare il traguardo della pensione mensile. Un perenne tirare la cinghia con il rischio di finire strozzati.
Siamo poi il Paese in cui, per effetto della crisi, da una parte le italiane stanno tornando a fare le colf, entrando quindi in concorrenza con le badanti provenienti dallâestero, e dallâaltra gli apprendisti sono calati quasi di mille unità .
Ed ancora, siamo il Paese che scopre che il proprio sistema sanitario rischia la paralisi e che nei prossimi decenni la spesa del settore è destinata a lievitare in maniera insostenibile a causa dellâaumento della durata media della vita. Anche vivere a lungo, insomma, in questa nostra Italia, rischia di costituire un problema serio per la tenuta economica del sistema.
Siamo inoltre il Paese che sta assistendo ad una preoccupante decimazione delle sue piccole aziende, cioè di quel diffuso reticolo di economia legata al territorio che tanto ha contribuito al benessere di svariate generazioni di italiani. Un reticolo che oggi presenta maglie sempre pi๠rotte, attraverso le quali fuggono altrove le speranze di una ripresa che si presenta ogni giorno pi๠problematica.
Un reticolo, soprattutto, incapace di accedere al credito bancario che continua ad essere erogato con il contagocce. Ancora non vi è traccia, infatti, del pi๠volte annunciato ripristino del flusso continuo di denaro dalle banche alle piccole e medie imprese.
Tutto questo mentre per le aziende persistono le difficoltà anche in tema di riscossione dei pagamenti, nonostante a gennaio scatterà la direttiva europea che impone di pagare entro il termine di sessanta giorni i debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese.
In questa situazione, appare davvero difficile contrastare il crescente pessimismo di quanti sostengono che molte aziende che abbasseranno le saracinesche per le festività natalizie non le solleveranno pi๠allâalba del nuovo anno.
Siamo tutto questo e molto altro. Siamo un Paese che in qualche modo, attraverso tanti tentativi, cerca di trovare una via dâuscita. Di provare ad andare avanti.
Ma siamo ancora un Paese felice ?
Anche questo non è banale chiederselo, dal momento che la felicità , addirittura quel diritto alla felicità costituzionalmente sancito negli Stati Uniti, sembra avere sempre meno cittadinanza in una società come la nostra che si presenta così frantumata ed ingrigita.
Siamo un Paese spezzato.
Un Paese nel quale la politica stenta a riassumere il proprio ruolo di guida responsabile e severa, mostrandosi invece troppe volte arruffona e proponendo soluzioni per lâimmediato futuro che, se non velleitarie, appaiono in larga misura pasticciate.
Si ha lâimpressione che molti degli attori politici in campo abbiano perso la reale percezione delle cose e che continuino ad avere una rappresentazione dellâItalia e degli italiani largamente superata dagli eventi.
Siamo un Paese, quindi, molto diverso da quello che avevano sognato e provato a costruire i nostri padri.
Un Paese, detto con franchezza, che i nostri figli non meritano sia lasciato loro in eredità .
Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI