Il modello necessario per garantire un futuro

________________________________di Dino Perrone

 

Statistiche alla mano, continua ad aumentare il numero dei nostri giovani che progettano un futuro lontano dall’Italia. Non è più solo una questione di fuga di cervelli. E’ l’ennesima conferma che l’attuale modello di Paese non attrae, non convince e non ispira fiducia.

Negli ultimi dieci anni il reddito pro-capite degli italiani si è eroso quasi del dieci per cento, portando praticamente le lancette dei nostri orologi indietro di quindici anni.

Colpa della crisi internazionale, certo.

Ma, anche prima di questo lungo scossone ancora in corso, la nostra economia non aveva certo fatto registrare prestazioni particolarmente esaltanti nel confronto con quelle degli altri Paesi europei. Insomma, restiamo nei vagoni di coda adesso come lo eravamo anche negli anni passati.

Niente di nuovo, dunque. Soprattutto niente di positivo.

Nel frattempo però, secondo l’Istat l’Italia continua ad invecchiare ed il 60% dei giovani di età compresa tra i diciotto ed in trentaquattro anni vive ancora con i propri genitori. Inoltre, ben il 42% dei ragazzi italiani sogna di vivere e lavorare in altri Paesi. Né sono da dimenticare gli oltre due milioni di giovani che invece non studiano e non lavorano.

Un quadro pessimo. Un quadro di profondo malessere.

Il quadro di un Paese in lento declino. Un Paese che attrae sempre meno i suoi abitanti, che non convince nei modelli che propone, che non ispira fiducia nel presente e soprattutto nel futuro.

Perdurando questo stato di cose, è ovvio che l’Italia rischia di afflosciarsi, di ripiegare su se stessa, di perdere qualsiasi spinta propulsiva. In tal modo la più volte annunciata ripresa, di cui si intravedono solo ora i primi contraddittori segnali, rischia di restare comunque fragile e “a bassa intensità”.

Per invertire questa perversa tendenza non ci sono alternative.

Si tratta di favorire l’affermazione di un diverso modello di Paese che si mostri capace di attrarre maggiormente il capitale umano e sia più attento al problema dell’esodo dei giovani che ogni anno cercano all’estero quelle opportunità di crescita professionale, e persino umana, che oramai non trovano più da noi.

Adesso non è solo una questione di fuga di cervelli. In questione è la tenuta stessa della nostra coesione sociale.

Per tornare a crescere davvero, il nostro Paese deve puntare decisamente sull’innovazione, rendendo più agevole il terreno a quelle imprese che da anni cercano di reggere il passo e superare la stagnazione in atto.

Questo è possibile solo se l’economia italiana verrà progressivamente liberata da lacci e lacciuoli che le impediscono di espandersi propri in quei settori, dal manifatturiero avanzato alle nuove tecnologie, che più sono legati all’innovazione.

Si torna cioè, ancora una volta, alla necessità di rendere l’Italia meno appesantita da norme burocratiche che non rendono più efficaci i controlli di legalità, come si vede dal perdurare quotidiano degli scandali, ma allontanano quella velocità decisionale che è indispensabile per competere su un mercato globale dai contorni sempre più aggressivi ed invasivi.

Si tratta, tutti insieme, di tornare a credere.

Credere nella possibilità dello Stato di autoriformarsi. Credere nella volontà della politica di rigenerarsi. Credere nella voglia delle imprese di misurarsi con sempre nuove sfide. Credere nel talento delle nuove generazioni che sono a caccia di più stimolanti opportunità professionali. Credere nel valore aggiunto, ed insostituibile, della ricerca in tutti i settori.

Credere, cioè, in tutto quello che purtroppo deve ancora largamente realizzarsi.

Siamo una società che deve assolutamente ritrovarsi, riscoprendo quella identità di fini e di obiettivi che è stata la grande spinta che trasse fuori l’Italia dal disastro del secondo dopo-guerra facendola approdare in pochi anni al benessere del boom economico.

Le condizioni storiche sono ovviamente diverse. E diversi sono oggi i protagonisti.

Ma lo spirito identitario deve tornare ad ispirare le scelte strategiche di un Paese come il nostro, chiamato a non disperdere per sempre la sua capacità di trarre ogni volta il meglio proprio nelle situazioni più sfavorevoli.

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI