Confusi, non felici

________________________________di Dino Perrone

 

Dall’economia italiana continuano ad arrivare segnali contraddittori, in una altalena di buone e cattive notizie. A conferma che l’auspicata ripresa, pure se in atto, ancora non ha dato una salutare scossa al nostro Paese

 

Con cadenza oramai quasi settimanale, arrivano le statistiche sull’andamento generale della nostra economia.

Si tratta di numeri che a volte incoraggiano ed altre volte deprimono, in una sostanziale alternanza di buone e cattive notizie che riflette l’andamento a dir poco isterico di una crisi che appare sempre meno decifrabile con gli strumenti tradizionali.

Numeri ho detto. Numeri che rappresentano la sostanza delle cose. Numeri che spesso lasciano un senso di generale confusione.

Aumentano gli occupati, ma aumentano anche coloro che un lavoro hanno rinunciato a cercarlo. Crescono le esportazioni ma non lievita la domanda interna. Si aprono nuove aziende ma rimangono irrisolti i nodi per favorire una crescita generale del sistema produttivo italiano.

E’ difficile capire, insomma, a che punto effettivamente siamo.

Se cioè il peggio è davvero alle nostre spalle o se la crisi ha in serbo ancora qualche pericoloso colpo di coda.

Qualche esempio.

Secondo le stime più recenti di Bankitalia, nel triennio 2016-2018 l’occupazione totale aumenterà di circa il 2% facendo cosi scendere il tasso di disoccupazione al 10,8% alla fine del periodo, cioè oltre un punto percentuale in meno rispetto al 2015.

Secondo l’Istat, però, ad aprile la stima dei disoccupati è invece salita dell’1,7% tornando ai livelli dello scorso febbraio.

Dando per buone entrambe le stime si ha, appunto, l’immagine di un Paese perennemente sull’altalena, che procede un po’ avanti e un po’ indietro, restando sostanzialmente ancora vicino al punto di partenza.

Un Paese nel quale la ripresa a cui stiamo comunque assistendo non ha ancora assunto una dimensione sufficiente a condurci fuori dal pantano.

Un Paese in cui la povertà delle famiglie è in costante aumento ed incide sulla durata media della vita.

Un Paese nel quale sempre più persone, anche a causa dei tagli al sistema sanitario pubblico, rinunciano persino a curarsi.

Un Paese quindi non solo confuso ma anche infelice in molte fasce della sua popolazione e che non trova adeguate attenzioni e risposte. La politica, nel suo complesso, stenta infatti ad intercettarne i bisogni.

Siamo ancora in cerca, come sistema, di un effettivo cambio di passo, di una marcia in più.

Una cosa tuttavia appare sempre più chiara, pure in mezzo a tanta confusione.

Occorre che il sistema industriale italiano, costituito in larghissima misura dalle piccole e medie imprese, torni ad essere al centro dell’agenda del Paese.

Non può esserci un duraturo sviluppo dell’Italia se non c’è uno sviluppo delle sue imprese. Ciò che è bene per le imprese è bene anche per l’Italia.

Questa consapevolezza deve ispirare l’agire delle classi dirigenti del Paese, superando quelle sacche di resistenza e quegli eccessi di burocrazia che tanto hanno avvelenato il clima negli anni passati, appesantendo non poco il necessario cammino nella direzione dello sviluppo.

Non sono più consentite incertezze. I  tempi chiamano e richiedono che vi sia una concordia tra le varie componenti in campo.

Altrimenti saremo sempre più confusi, dai numeri, dalle statistiche e dalle stime, e inevitabilmente sempre meno felici.

Quella dello sviluppo è una sfida che riguarda tutti. E solo restando tutti insieme, in uno spirito di ritrovata concordia  e di orgoglio nazionale, sarà possibile affrontarla e vincerla.

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI