Una “manovra” che lascia il Paese desolatamente fermo

________________________________di Dino Perrone

 

La legge di Stabilità, sotto i riflettori anche della Commissione Europea, contiene misure che provano a tenere a galla l’Italia ma che non sembrano in grado di rappresentare quella “scossa” salutare di cui si avverte il bisogno

Matteo Renzi periodicamente invita a riflettere su come dovrà essere l’Italia dei prossimi trent’anni. E fa bene.

Ne abbiamo infatti le tasche piene di una politica che ha come unico orizzonte quello della propria sopravvivenza alle più immediate tornate elettorali.

Tuttavia non sarebbe male che il nostro premier, almeno ogni tanto, guardasse anche indietro e tenesse bene a mente cosa sono stati gli ultimi otto anni per il nostro Paese.

In questo arco di tempo abbiamo assistito ad una vera e propria devastazione, investiti da una crisi economica che non ha precedenti nel dopo-guerra e che ha messo a rischio i fondamentali dell’Italia anche sul fronte della tenuta sociale.

Anni che lasciano una pesantissima eredità e che richiedono, per essere messi definitivamente alle spalle, una scossa salutare che produca quell’insieme di energie più che mai necessario per consentire al Paese una duratura ripartenza.

In questo senso, occorre dirlo senza tanti preamboli, la legge di Stabilità che il governo pone ora all’approvazione delle Camere rischia di rappresentare una occasione sprecata.

La manovra, come ormai noto, ammonta a 26,5 miliardi di euro, due in più di quanto originariamente previsto e, sviluppata attraverso sei capitoli di intervento, gioca la sua credibilità sulla previsione di  crescita dell’1% nel 2017 e su un rapporto deficit/Pil fissato al 2,3 per cento. Entrambi obiettivi, è bene evidenziare, ancora non facilissimi da centrare.

Ma tant’è. La legge di Bilancio, salvo possibili aggiustamenti, è questa e adesso bisogna augurarsi che almeno le previsioni di crescita risultino poi confortate dai fatti. E che, più nell’immediato, a novembre superi il vaglio anche della Commissione Europea.

In ogni caso, di scossoni salutari non vi è traccia in questa manovra. Come non vi è traccia di una qualche credibile inversione di tendenza che consenta una lotta agli sprechi pubblici che vada davvero in profondità superando il momento della banale propaganda. 

E’ vero che, tra le coperture necessarie per scongiurare le “clausole di salvaguardia” da 15 miliardi che aprirebbero la strada all’aumento dell’Iva al 24% dal 2017, il governo ha citato un risparmio in beni e servizi per oltre tre miliardi attraverso la Consip, la centrale di acquisto della pubblica amministrazione. Ma sembra davvero ancora poca cosa.

Come non è certo sufficiente ad allontanare le preoccupazioni sullo stato complessivo della nostra economia l’assicurazione che  le risorse avanzate dalla ripartizione dei Fondi a disposizione della Presidenza del Consiglio, peraltro incerte nel loro ammontare, saranno girate al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.

E poco più che pannicelli caldi rischiano di rivelarsi anche i seicento milioni annunciati per la famiglia ed i sette miliardi, spalmati però nei prossimi tre anni, per l’anticipo pensionistico e l’aumento delle pensioni minime.

Davvero poco per coniugare in maniera corretta  quei concetti di “competitività ed equità” che, stando a quanto dichiarato dal premier, sono invece proprio alla base della filosofia di questa manovra.

Siamo insomma dinanzi a misure che provano solo a tenere a galla il Paese, piuttosto che farlo salpare verso nuove rotte.

E’ comprensibile che forse, dinanzi ai perduranti marosi, è sembrato necessario più rinforzare gli ormeggi che provare ad affrontare il mare aperto.

Ma intanto il Paese resta in affanno e cresce l’allarme per il disagio giovanile.

Il Rapporto 2016 della Caritas, licenziato in occasione della Giornata mondiale contro la povertà, svela infatti che è in vertiginoso aumento il numero dei giovani indigenti e che la crisi del lavoro penalizza ormai non tanto gli adulti ma soprattutto i giovani ed i giovanissimi.

Spicca in particolar modo il dato territoriale riferito al Sud dove è italiano il 66% di chi chiede aiuto nei centri Caritas. Più degli immigrati, quindi. Un “sorpasso” verso la miseria che deve far riflettere, non dimenticando che non si riesce a far emergere i 211 miliardi di economia sommersa che sfuggono a tutto e che potrebbero consentire, se recuperati, di risolvere più di un problema immediato senza far ricorso ad altre “manovre”.

Dinanzi a questi dati resta quindi il senso amaro di qualcosa di incompiuto.

Come meravigliarsi allora se, in base ad alcuni sondaggi, per 7 italiani su 10 siamo dinanzi ad una legge di Bilancio inadeguata, che non è in grado di mettere in moto la crescita ?

Nessuna meraviglia, dunque. Ma molta delusione e qualche più che legittima preoccupazione.

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI