Tempi difficili, tempi lunghi, tempi costosi

________________________________di Dino Perrone

 

La burocrazia italiana continua a mostrarsi nemica delle imprese come dei cittadini. Quanto ancora bisognerà aspettare per rendere meno bizantina ed onerosa una macchina statale che rende complicato tutto ciò che chiede solo di essere semplificato ?

L’Istat certifica che ad ottobre sono risultate in espansione tutte le componenti della fiducia a partire da quella economica, migliorando i giudizi e le attese sulla situazione del Paese. In particolare, per la fiducia delle imprese l’indice è salito a 107,5 da 106,1 di settembre mentre quella dei consumatori è passato da 113 a 116,9.

Tutto bene, allora ? La crisi può dirsi finalmente finita ?

Calma, signore e signori. E’ meglio non abbassare la guardia, anche perché bisogna prendere in esame altre meno confortanti statistiche.

Eccone ad esempio una non proprio allegra.

Secondo il World Economic Forum, fondazione internazionale senza fini di lucro finanziata da più di mille imprese associate, l’Italia si colloca al terz’ultimo posto nel mondo nella classifica della qualità della regolamentazione.

Un dato che conferma come nel nostro Paese resti oltremodo faticoso il rapporto fra impresa e burocrazia, con buona pace dei periodici tentativi di semplificazione del sistema di gestione di pratiche ed autorizzazioni. Tentativi che restano più che altro a marcire nel limbo delle buone intenzioni.

Tempi difficili, dunque, per le piccole e medie imprese italiane.

Questa non è una novità, certo. Ma neppure è consolante dover constatare che le cose non cambiano mai in un Paese come il nostro che, invece, per riprendersi davvero dovrebbe riuscire a cambiare quasi tutto.

Tempi difficili, ripeto. Ma anche tempi lunghi.

Per completare infatti tutto l’iter legato ad autorizzazioni ambientali ed edilizie, assunzioni, richieste di rimborsi Iva o di Cassa integrazione, una media impresa arriva a dover attendere anche 45 giorni. Un tempo che si dilata addirittura a 193 giorni se si tratta di aziende di dimensioni maggiori.

Tempi difficili, tempi lunghi. E, come se già questo non bastasse, tempi anche scandalosamente costosi.

E’ stato calcolato che in Italia i costi burocratici possono arrivare ad assorbire addirittura il 4% dei ricavi di una media impresa. Infatti, secondo un recente studio condotto da Assolombarda Confindustria Milano Brianza assieme all’Università Bocconi, il peso della burocrazia è quantificabile tra i cento ed i 160sessantamila euro annui. Una somma che potrebbe essere invece agevolmente destinata allo sviluppo, alla competizione ed all’innovazione.

Questa stima viene fuori tenendo conto sia dei costi immediatamente “visibili” rappresentati dagli oneri amministrativi, dalle consulenze, dagli aggiornamenti dei sistemi informatici, che di quelli legati alle lentezze imposte alle attività aziendali, sotto forma di entrate non realizzate per il ritardo nella messa in funzione di nuovi impianti.

Un sistema così ingessato, fatto di timbri, bolli e procedure che si accavallano e si susseguono senza fine, non può che avere ricadute negative sul fronte della competitività delle nostre imprese e sullo sviluppo stesso del territorio.

Un nodo da sciogliere al più presto, questo, per evitare che si arrivi al soffocamento del nostro intero sistema produttivo.

Ed allora appare di tutta evidenza che, per modernizzare davvero il nostro Paese, occorre avere la volontà e la capacità di riformare nel profondo una macchina burocratica che sembra concepita solo per complicare ciò che dovrebbe essere semplificato e rallentare ciò che invece dovrebbe essere velocizzato.

L’efficienza passa attraverso uno snellimento, anzi un vero e proprio disboscamento di procedure che, all’atto pratico, non sono al servizio né delle imprese né dei cittadini. Procedure che opacizzano più che rendere trasparente il percorso burocratico che si è chiamati a compiere. Procedure che appesantiscono. Procedure che avviliscono.

Procedure che vengono vissute come una gravosa e spesso avvilente perdita di tempo e che finiscono, inevitabilmente, per far vedere nel peso burocratico un elemento frenante se non proprio un vero limite all’innovazione e alla crescita dell’attività imprenditoriale.

Fino a quando resteremo il Paese delle troppe firme su svariati moduli, fittamente scritti, qualche volta illeggibili, spesso incomprensibili, faticheremo non poco a restare al passo con un panorama economico e sociale che invece si velocizza sempre più.

E resteremo una sempre meno attraente periferia del mondo.

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI