Stiamo meglio, ma non stiamo ancora bene

________________________________di Dino Perrone

 

Migliorano i dati sull’occupazione ed aumenta la fiducia nella ripresa. Il peggio forse è passato. Ma guai ad abbassare la guardia ed a ritenere che il più è stato fatto. Bisogna invece continuare a rimboccarsi le maniche per affermare una nuova idea di Paese

In Italia ci sono oltre due milioni ed ottocentomila persone in cerca di lavoro. Vi sembrano forse poche ?

A me appaiono ancora decisamente troppe per una economia che davvero vuole imboccare la strada di una duratura ripresa.

Diffondendo in queste settimane i dati provvisori sul mercato del lavoro, l’Istat non ha fatto altro che certificare una situazione che, al netto delle forzature trionfalistiche di certi ambienti politici, non può che continuare a destare attenzione ed essere fonte di una sincera preoccupazione.

L’Italia migliora, certo, dal momento che proprio sul fronte dell’occupazione sempre l’Istat registra, dal novembre 2014 al novembre 2015, un incremento di duecentoseimila unità, con una conseguente diminuzione della disoccupazione su base tendenziale.

Stiamo insomma meglio rispetto a prima. Ma si può già dire che stiamo anche bene ?

Stiamo meglio, ma siamo ancora convalescenti. Ed è dunque il caso di essere prudenti, evitare azzardi, continuare nelle terapie.

Guai ad illudersi che il peggio è ormai alle nostre spalle. Guai a ritenere che il più è stato fatto. Guai a dare per scontate cose che invece non lo sono per niente. C’è il rischio di beccarsi nuovi e più insidiosi malanni.

Il nostro infatti resta un Paese fragile, ancora esposto ai venti delle crisi internazionali che potrebbero far crollare come un castello di carte quanto di buono si sta faticosamente cercando di mettere in piedi.

Per rafforzare il nostro sistema è più che mai necessario avere chiarezza sulle cose da fare, sia nell’immediato che nel medio e lungo termine. Questo, soprattutto questo è il compito che deve darsi una classe dirigente se vuole essere davvero degna di questo nome.

Il tempo è scaduto. Non sono più consentite incertezze.

La perdente filosofia del piccolo cabotaggio, della navigazione a vista, del voler solo durare al posto del voler fare ha prodotto, nel corso degli anni, un tipo di mentalità che deve essere decisamente contrastata a tutti i livelli.

C’è bisogno di una nuova Italia, capace di esprimere una classe dirigente che sappia porsi con uno spirito nuovo dinanzi alle questioni irrisolte. Che sia dotata di uno sguardo lungo e profondo, in grado di andare a scrutare negli angoli più riposti di un Paese che vede spesso ingiustamente mortificate le sue enormi potenzialità.

E questa nuova Italia, che anche il premier Renzi ha più volte dichiarato di avere come riferimento ideale del proprio agire politico, non può che guardare primariamente alle sue botteghe, alle sue aziende, alle sue imprese. Cioè a quei mille luoghi di lavoro e di impegno dove, quotidianamente, rimboccandosi le maniche prende forma il presente ed il futuro della nostra società.

La “ripartenza” passa necessariamente da questi luoghi.

Sostenere dunque gli investimenti, aiutare le imprese ad ampliare le proprie dimensioni mantenendo tuttavia ben salde le singole peculiarità territoriali, incentivare ogni forma di innovazione, combattere in maniera concreta una evasione fiscale che resta purtroppo ai limiti della patologia. Premiare il merito, sempre e comunque, oltre ogni appartenenza. Aprirsi al nuovo difendendo le proprie radici formative.

Compiti impegnativi, certo. Ma solo in questo modo, a mio avviso, sarà possibile affermare una nuova idea di Paese e favorire la crescita del Prodotto interno lordo, le cui stime invece oggi rischiano di risultare inferiori alle attese dei mesi scorsi. Stime peraltro sempre da prefisso telefonico che ci tengono ancora ben lontani dai vagoni trainanti delle economie internazionali.

E solo in questo modo la politica, tutta la politica, saprà dimostrare di essere affidabile per i cittadini, tornando ad essere il luogo deputato della competenza, dell’onestà morale, del disinteresse personale, del sacrificio per il bene comune.

 

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI