Le vicende legate al rilancio dellâattività produttiva nellâEmilia, devastata dal doppio sisma dello scorso maggio, ci dicono molto su come restiamo sempre un Paese a due velocità . Ed a rimanere indietro non sono certo gli imprenditoriâ¦
La ripresa a pieno regime delle attività produttive dopo la pausa agostana ci ricorda che sono passati oltre cento giorni dallo squassante terremoto che lo scorso 20 maggio devastಠil territorio dellâEmilia.
A quella prima scossa, che fece tremare il cuore produttivo di una regione allâavanguardia in tanti comparti industriali, seguì la seconda parimenti devastante del successivo 29 maggio che mise definitivamente in ginocchio interi distretti, a partire dal biomedicale per finire a quello ceramistico e meccanico.
Un doppio pugno in faccia da far tremare le ginocchia.
Le cifre parlano di oltre cinque miliardi di danni arrecati al sistema produttivo emiliano, con oltre tremila aziende colpite, 1.600 capannoni danneggiati e 37.500 persone costrette alla cassa integrazione.
Nonostante cià², le imprese hanno reagito. Presto e bene, come spesso avviene in questo nostro Paese in cui ad essere ballerino non è solo il territorio ma anche, se non soprattutto, il sistema politico ed amministrativo.
Le imprese hanno reagito, dicevo, presto e bene. E lo hanno fatto immediatamente, trasferendo, ove possibile, le attività in capannoni vicini a quelli danneggiati per non fermare una filiera produttiva che ha sempre garantito significative quote di mercato a livello internazionale.
Non solo. Gli imprenditori hanno affittato nuovi siti produttivi, continuando lâattività con le maestranze anche a cielo aperto. Occhi asciutti, insomma, e maniche rimboccate. Con le lacrime per i lutti e le devastazioni stoicamente ricacciate dentro.
Tutti insieme a sgomberare le macerie e mettere in sicurezza le strutture. Tutti insieme per ripartire, pur se con il cuore gonfio di angoscia.
Un esempio di impegno civile e di etica del lavoro e della responsabilità che ci dice quante energie positive ci siano comunque nel nostro Paese.
Ma ad oltre cento giorni di distanza da quel doppio sisma non puಠche risultare stridente il contrasto fra ciಠche il sistema imprenditoriale emiliano, e non solo, ha dimostrato di saper fare e quello che la politica ha semplicemente dichiarato di âvoler fareâ.
A dominare, sul versante pubblico, sono stati infatti solo ritardi ed incertezze.
Ritardi nelle procedure di controllo e di verifica dellâagibilità degli impianti. Incertezze normative e burocratiche in materia amministrativa e fiscale che finora hanno condotto, come unico risultato concreto, al rinvio solamente di qualche mese e non invece al 30 giugno prossimo degli adempimenti tributari e previdenziali.
Ritardi, incertezze e âbraccino cortoâ nellâerogazione degli aiuti finanziari per ricostruire le aziende. Aiuti, allo stato, arrivati con il contagocce.
Il tutto nonostante le rassicurazioni e gli impegni solennemente assunti, già allâindomani del sisma, dal ceto politico nella sua interezza.
Ancora una volta, insomma, anche lâesperienza del dopo terremoto emiliano ci dice che siamo un Paese che viaggia costantemente a due velocità . Nelle situazioni normali come dinanzi alle emergenze.
Da una parte il mondo imprenditoriale e del lavoro che, pure quando viene duramente colpito, continua a reggersi in piedi, che anzi prova a ripartire in tutta fretta facendo ricorso a risorse proprie senza attendere che arrivino a pieno regime gli aiuti promessi dalle istituzioni di vario livello.
Dallâaltra, una politica ed una burocrazia troppo spesso ottuse e balbettanti. Incapaci di mantenere gli impegni nei tempi stabiliti e con le modalità definite.
Un Paese sbilenco, quindi, che inevitabilmente risulta goffo nei suoi movimenti.
Perdurando queste condizioni, è evidente che risulta difficile agganciare qualsiasi treno della ripresa e dello sviluppo.
Eâ bene che il governo Monti, proprio nei giorni in cui ha varato la nuova agenda in materia di crescita, tenga a mente lâamara lezione che ci viene dallâEmilia.
Se non si riforma la politica, se non si rigenerano i partiti, se non si abbatte davvero lâeccessivo peso burocratico di una pubblica amministrazione ancora dai troppi tratti ottocenteschi, se non si modifica il rapporto tra il fisco ed i cittadini, se non si esplorano nuove forme di solidarietà , lâuscita dal tunnel della crisi in cui ci siamo cacciati non sarà affatto breve.
E la vera cartolina dellâItalia, pi๠che dal vestito di gala indossato nelle paludate sedi dei vertici europei sullâeuro, continuerà ad essere rappresentata dai 150 tavoli di crisi aziendali aperti presso il ministero dello Sviluppo economico.
A quella prima scossa, che fece tremare il cuore produttivo di una regione allâavanguardia in tanti comparti industriali, seguì la seconda parimenti devastante del successivo 29 maggio che mise definitivamente in ginocchio interi distretti, a partire dal biomedicale per finire a quello ceramistico e meccanico.
Un doppio pugno in faccia da far tremare le ginocchia.
Le cifre parlano di oltre cinque miliardi di danni arrecati al sistema produttivo emiliano, con oltre tremila aziende colpite, 1.600 capannoni danneggiati e 37.500 persone costrette alla cassa integrazione.
Nonostante cià², le imprese hanno reagito. Presto e bene, come spesso avviene in questo nostro Paese in cui ad essere ballerino non è solo il territorio ma anche, se non soprattutto, il sistema politico ed amministrativo.
Le imprese hanno reagito, dicevo, presto e bene. E lo hanno fatto immediatamente, trasferendo, ove possibile, le attività in capannoni vicini a quelli danneggiati per non fermare una filiera produttiva che ha sempre garantito significative quote di mercato a livello internazionale.
Non solo. Gli imprenditori hanno affittato nuovi siti produttivi, continuando lâattività con le maestranze anche a cielo aperto. Occhi asciutti, insomma, e maniche rimboccate. Con le lacrime per i lutti e le devastazioni stoicamente ricacciate dentro.
Tutti insieme a sgomberare le macerie e mettere in sicurezza le strutture. Tutti insieme per ripartire, pur se con il cuore gonfio di angoscia.
Un esempio di impegno civile e di etica del lavoro e della responsabilità che ci dice quante energie positive ci siano comunque nel nostro Paese.
Ma ad oltre cento giorni di distanza da quel doppio sisma non puಠche risultare stridente il contrasto fra ciಠche il sistema imprenditoriale emiliano, e non solo, ha dimostrato di saper fare e quello che la politica ha semplicemente dichiarato di âvoler fareâ.
A dominare, sul versante pubblico, sono stati infatti solo ritardi ed incertezze.
Ritardi nelle procedure di controllo e di verifica dellâagibilità degli impianti. Incertezze normative e burocratiche in materia amministrativa e fiscale che finora hanno condotto, come unico risultato concreto, al rinvio solamente di qualche mese e non invece al 30 giugno prossimo degli adempimenti tributari e previdenziali.
Ritardi, incertezze e âbraccino cortoâ nellâerogazione degli aiuti finanziari per ricostruire le aziende. Aiuti, allo stato, arrivati con il contagocce.
Il tutto nonostante le rassicurazioni e gli impegni solennemente assunti, già allâindomani del sisma, dal ceto politico nella sua interezza.
Ancora una volta, insomma, anche lâesperienza del dopo terremoto emiliano ci dice che siamo un Paese che viaggia costantemente a due velocità . Nelle situazioni normali come dinanzi alle emergenze.
Da una parte il mondo imprenditoriale e del lavoro che, pure quando viene duramente colpito, continua a reggersi in piedi, che anzi prova a ripartire in tutta fretta facendo ricorso a risorse proprie senza attendere che arrivino a pieno regime gli aiuti promessi dalle istituzioni di vario livello.
Dallâaltra, una politica ed una burocrazia troppo spesso ottuse e balbettanti. Incapaci di mantenere gli impegni nei tempi stabiliti e con le modalità definite.
Un Paese sbilenco, quindi, che inevitabilmente risulta goffo nei suoi movimenti.
Perdurando queste condizioni, è evidente che risulta difficile agganciare qualsiasi treno della ripresa e dello sviluppo.
Eâ bene che il governo Monti, proprio nei giorni in cui ha varato la nuova agenda in materia di crescita, tenga a mente lâamara lezione che ci viene dallâEmilia.
Se non si riforma la politica, se non si rigenerano i partiti, se non si abbatte davvero lâeccessivo peso burocratico di una pubblica amministrazione ancora dai troppi tratti ottocenteschi, se non si modifica il rapporto tra il fisco ed i cittadini, se non si esplorano nuove forme di solidarietà , lâuscita dal tunnel della crisi in cui ci siamo cacciati non sarà affatto breve.
E la vera cartolina dellâItalia, pi๠che dal vestito di gala indossato nelle paludate sedi dei vertici europei sullâeuro, continuerà ad essere rappresentata dai 150 tavoli di crisi aziendali aperti presso il ministero dello Sviluppo economico.
Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI