Questioni aperte e pericoli da evitare

________________________________di Dino Perrone

 

Archiviato il quesito referendario sulla riforma costituzionale, restano sul tappeto troppi nodi irrisolti che rischiano di minare la tenuta sociale del Paese. Ora più che mai sono necessarie coesione sociale e chiarezza d’intenti per far ripartire l’intero sistema

L’Italia si è dunque espressa bocciando a larghissima maggioranza, nella consultazione referendaria della prima domenica di dicembre, la riforma costituzionale sulla quale Matteo Renzi aveva invece puntato moltissimo.
E adesso ?
Adesso bisognerà cercare di espellere il più in fretta possibile le tossine di una campagna referendaria che ha sovraesposto ed indebolito il Paese sul piano internazionale e sfibrato non poco il quadro politico.
Ora che le urne  sono chiuse, restano infatti aperte innumerevoli questioni economiche e sociali e c’è soprattutto un rischio da dover evitare. Quello di consegnare agli italiani una ulteriore stagione di frammentazioni e divisioni di cui, francamente, non si avverte il bisogno e tantomeno una qualche forma di nostalgia.
I segnali purtroppo già ci sono, dal momento che stanno mettendosi in moto dinamiche che sembrano tutte destinate a scaricarsi su qualunque sarà il prossimo esecutivo.
L’Italia, al di là dell’esito referendario, ha bisogno di proseguire un virtuoso percorso di riforme e di risanamento dell’economia che guardi non all’interesse immediato e parziale ma al futuro da costruire per le prossime generazioni.
Un futuro che, allo stato, vede prevalere il colore grigio.
L’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che raggruppa 35 Paesi membri, ci dice che oggi in Italia un bambino su cinque è indigente. E lo è anche un lavoratore su nove. Statistiche non certo da Paese in salute. Piuttosto da Paese nel quale le disuguaglianze di reddito rischiano di produrre solchi sempre più profondi tra chi ce la fa e chi, invece, arranca nelle retrovie.
Ed il guaio è che a non riuscire a schiodarsi dalle retrovie sono soprattutto i giovani.
Basti pensare che negli ultimi due anni l’occupazione in Italia è cresciuta esclusivamente per i cinquantenni. Secondo l’Istat, infatti, da febbraio 2014 a settembre 2016 si sono persi trentacinquemila posti di lavoro nella fascia fra i 25 e i 34 anni. Nella fascia d’età tra i 50 ed i 64 anni, invece, si sono registrati ottocentoventimila occupati in più.
I giovani, quindi, arrancano. Sembra incredibile ma oggi gli anziani possiedono il triplo della ricchezza dei giovani italiani. E il divario non potrà che aumentare, se si guarda alle dinamiche ballerine dei redditi dei più giovani, rispetto alle entrate fisse dei pensionati.
I redditi di chi lavora, infatti, continuano a calare, complice la crisi. E gli analisti sono sempre più concordi nel ritenere che la prossima generazione sarà la prima che avrà un reddito inferiore a quella che l’ha preceduta.
Tutto questo ovviamente sembra avere poco a che fare con l’esito referendario ma impone un richiamo ad una necessaria unità del Paese. Ha ragione infatti il Presidente Mattarella a ricordarci che l’Italia è forte solo quando è unita. Le spinte divisive che ha suscitato la campagna referendaria debbono lasciare il posto, ora, non alla sterile rivendicazione di chi vuole a tutti i costi intestarsi una vittoria o alle recriminazioni velenose di chi sente invece di dover fare i conti con una dolorosa e ingiusta sconfitta.
E’ il momento invece , per tutti,  di un salutare “bagno di realtà”. E’ cioè il momento di voltare pagina e provare a scendere nelle viscere di un Paese che vuole modernizzarsi senza stravolgere i suoi valori fondanti.
Un Paese che vuole tornare a crescere, a contare, ad investire nel futuro ed a raccontarsi al mondo con legittimo orgoglio.
E’ il momento, insomma, di una nuova, profondamente diversa e più matura “fase costituente” che abbia al centro il superamento di quelle disuguaglianze sociali e di quelle povertà che ingenerano le distorsioni evidenziate nei dati forniti dall’Istat e dall’Ocse.
Distorsioni che rappresentano il cono d’ombra più inquietante che rischia di posarsi sul futuro del nostro Paese.
La politica non può sottrarsi a questo compito “rigenerante”. Parlo di quella politica che non segue il vento mutevole dei sondaggi ma che sa ascoltare il cuore e la mente delle persone, indicando loro la direzione giusta per impedire ogni deriva e riportare l’Italia, tutta intera e coesa, al centro della scena.
 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI