Prima dei numeri, le persone

___________________________________di Dino Perrone

 

 

L’emergenza emigrazione continua ad essere rappresentata solo in termini di cifre. Ma ogni vita che perisce dinanzi alle nostre coste, nel tentativo disperato di fuggire dalla guerra o dalla miseria, non puಠcostituire un semplice dato statistico. Essa rappresenta una sconfitta dell’intera umanità 

Il momento è adesso.
Adesso che l’onda emotiva sollevata agli inizi del mese dall’immane duplice naufragio dei migranti nel Canale di Sicilia rischia di accartocciarsi nella risacca della quotidiana indifferenza. Di venire risucchiata e prosciugata dai nostri piccoli e grandi egoismi, come puntualmente è già  accaduto in passato.
Il momento è dunque adesso.
Adesso è il momento di pretendere che la sanguinosa ferita degli sbarchi nel nostro Paese di quanti sono in fuga da miserie, guerre ed oppressioni, venga finalmente guarita con interventi che, partendo dalle nostre istituzioni, coinvolgano tutti i soggetti internazionali. A cominciare da questa nostra stanca Europa che continua ad apparire priva di senso e, pi๠ancora, di una sua anima. Una Europa ostaggio della burocrazia ed immemore dei propri ideali.
Arrivato con il nostro capo del governo a Lampedusa, il presidente della Commissione Europea Barroso, dinanzi alle contestazioni degli isolani, ha onestamente riconosciuto i troppi limiti dell’Ue che dinanzi a simili tragedie “non puಠvoltarsi dall’altra parte”.
Una assunzione di responsabilità  alla quale, perà², deve ora far seguito anche una altrettanto netta assunzione di impegni da parte dei Paesi membri dell’Unione. Una prima verifica, a stretto giro, potremo averla già  al prossimo vertice europeo, in cima alla cui agenda dovrebbe esserci proprio l’emergenza immigrazione.
Secondo i dati forniti dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, nel 2012 sono giunti nel continente europeo circa 332mila profughi. Numeri che francamente non sembrano poi così ingovernabili per un continente come il nostro che, anche se acciaccato, vanta pur sempre fra i suoi stati membri alcune delle principali potenze industriali dello scenario internazionale.
Numeri che magari al termine del 2013 sono destinati ad avere qualche significativo incremento anche a cagione delle vicende siriane ma che, in ogni caso, possono e debbono essere affrontati anche dal nostro Paese senza interessati allarmismi ma con lungimirante raziocinio.
Raziocinio che dovrebbe suggerire, nell’immediato ed in attesa di interventi “strutturali” nelle aree geografiche di provenienza, almeno la creazione di un “corridoio umanitario” che, sotto il coordinamento dell’Onu e dell’Unione europea, consenta di sostituire agli sgangherati ed insicuri barconi che oggi solcano le due sponde del Mediterraneo, mezzi di trasporto pi๠adeguati sottraendo in tal modo ai loschi trafficanti questo sordido mercato di persone.
Perché di questo si tratta. Di persone, non di numeri. Non dobbiamo dimenticarlo. Dietro queste cifre, dietro questi numeri si identificano le persone. Con le loro storie, le loro speranze, i loro sogni, i loro drammi. Con la loro preziosa umanità .
Come non dobbiamo dimenticare che esiste, deve continuare ad esistere in ciascuno di noi, se non un dovere, almeno un sentimento di accoglienza.
Ridurre a numeri e statistiche tutto il dramma dei migranti e dei rifugiati significa spersonalizzare il problema, ignorandone la dimensione umana. Mortificare la predisposizione all’accoglienza per chi è in difficoltà  vuol dire allontanarsi dalla possibilità  di costruire un futuro a misura di tutti.
Ogni barcone che si capovolge, ogni vita che perisce al largo delle nostre coste rappresenta una sconfitta della buona politica ed una pagina buia per l’intera umanità .
Allora occorre avere la volontà  di mutare radicalmente il quadro. Di sentirsi intimamente coinvolti. Come detto, il momento è adesso.
Papa Francesco proprio a Lampedusa aveva già  indicato la strada. Bisogna avere l’umiltà  ed il coraggio di percorrerla fino in fondo, senza tentennamenti. Bisogna riscoprire e coltivare una predisposizione all’accoglienza, all’aiuto, alla condivisione che debbono andare oltre il momento emotivo ma farsi carne viva nella nostra esperienza quotidiana.
Lo dobbiamo a tutte le vittime di questa guerra silenziosa che, per troppo tempo e per troppi ambienti, è stato comodo fingere di ignorare oppure derubricare ad una semplice questione di ordine pubblico.
Lo dobbiamo, fra tutti gli altri, a quella povera ragazza incinta ancora senza nome, annegata nella stiva del barcone che si capovolgeva. Morta agli inizi di ottobre dinanzi agli scogli di Lampedusa mentre tentava di dare alla luce il suo bambino.
Una luce, quella della vita, che non è giusto venga continuamente spenta dalla nostra complice indifferenza.

 

 
 
Dino Perrone
Presidente Nazionale ACAI