Sono ancora troppo timidi i segnali di ripresa della nostra economia per parlare di una decisa svolta in direzione della crescita. La strada da percorrere è ancora lunga e servirebbe maggiore chiarezza sugli obiettivi che si intendono perseguire
Mentre lUnione Europea, allindomani delladdio della Gran Bretagna, si lecca le ferite interrogandosi sul da farsi per restituire smalto ad una istituzione che appare sempre più lontana dalle aspettative dei cittadini dei vari Stati membri, forse è il caso di tornare a concentrarci un momento sulle vicende italiane.
Non per gretto municipalismo, ma proprio perché tanta parte del futuro dellEuropa passa attraverso lo stato di salute dei singoli Paesi membri.
Come sta allora lItalia ?
Benino, forse. Ma in agenda restano intatte ancora molte emergenze. Né sono stati sciolti quei nodi essenziali che da sempre imbrigliano il nostro Paese.
Uno di questi nodi, inutile negarlo, è rappresentato dalleccessiva pressione fiscale che continua a gravare in maniera intollerabile sulle famiglie e sulle imprese.
Hanno ragione quanti sostengono che, se davvero si vuole far ripartire leconomia italiana, è necessario affrontare con decisione la questione della necessaria riduzione del carico fiscale. Una volta per tutte.
Il ministro Padoan non perde occasione per assicurare che qualcosa, in tal senso, è già stata fatta e che una riduzione delle tasse si è effettivamente registrata.
Orbene, pur tralasciando il fatto che tutto ciò non è entrato nella comune percezione dei cittadini, è il caso di evidenziare che questa decantata riduzione si aggira comunque nellordine dello 0,15 per cento.
Parliamo quindi di qualcosa di microscopico. Una variazione che non si legge, e appunto non si avverte, ad occhio nudo.
Una variazione che sposta pochissimo la sostanza delle cose.
E la sostanza è che, dal 2012 al 2015, lopera di consolidamento della nostra economia non è stata capace di accompagnarsi ad una drastica riduzione del carico fiscale.
Infatti, anche a voler considerare il famoso bonus di ottanta euro mensili non come una spesa ma come una riduzione della pressione fiscale, la diminuzione del carico risulterebbe lo stesso di modestissima entità.
Siamo dinanzi al perdurare di una pressione fiscale che sta assumendo, anno dopo anno, i contorni di una vera e propria emergenza nazionale. Una emergenza che sinora è stata affrontata solo con qualche pannicello caldo.
Serve invece molto altro.
Servono politiche capaci di restituire respiro sia alle famiglie che allintero sistema produttivo italiano. Serve chiarezza, ad esempio, sulla reale volontà di ridurre sia lIrpef che lIres a partire dal prossimo anno.
Questa chiarezza al momento non cè, rimane inghiottita da troppe cautele e sottili distinguo governativi. Cautele forse dobbligo, data la situazione magmatica che sul fronte del lavoro e delleconomia coinvolge non solo il nostro Paese ma anche altri Stati dellUnione. Cautele però che rischiano di mantenere in vita troppe perplessità sulla reale possibilità di dare quella sterzata al sistema che un po tutti ritengono invece più che mai necessaria.
Cautele che inducono i più maliziosi a ritenere che non vi sia ancora la necessaria chiarezza su quali debbano essere le priorità e gli obiettivi da perseguire da qui ai prossimi mesi.
Insomma, la sensazione è che si procede, certo. Ma si procede troppo lentamente per quelli che sono i problemi chiamati ad affrontare da quanti nel nostro Paese cercano, pur tra mille difficoltà, di produrre ricchezza.
Fino a quando saremo costretti ad esultare per microscopiche riduzioni percentuali della pressione fiscale vorrà dire, con buona pace degli ottimisti ad oltranza, che la strada da percorrere è ancora dannatamente lunga e densa di ostacoli.
Dino Perrone