Non siamo più il Paese delle fiabe

___________________________________di Dino Perrone

 

Non sappiamo raccontare le favole ai nostri figli. Biancaneve, Cenerentola, ma anche Pinocchio rischiano così di essere dimenticati. Distratti da tante cose, non ci  accorgiamo che, anche in questo modo, alle nuove generazioni rubiamo il piacere dell’infanzia.

Cari associati,
dall’estero arrivano sempre brutte notizie.
In particolare dal Regno Unito  che, dopo aver pubblicato una indagine secondo la quale in media i genitori dedicano ai figli meno di un’ora al giorno, oggi rincara la dose sostenendo, in un rapporto del ministero dell’istruzione britannico, che i grandi non sono più in grado di raccontare le fiabe ai loro piccini per farli addormentare.
Sembra una notizia insignificante, ma non lo è.
La conseguenza di questa povertà di parole e di dialogo, infatti, è che l’apprendimento risulta oltremodo difficoltoso. I bambini, cioè, sviluppano una capacità di comunicazione molto più lentamente del dovuto.
Le statistiche licenziate nel rapporto sull’alfabetizzazione nel Regno Unito dicono in particolare che i bambini inglesi cominciano la scuola con una capacità di parlare pari a quella di un bimbo di appena diciotto mesi.
Certo, questi bambini impareranno poi lo stesso a parlare, ma secondo molte ricerche coloro che hanno problemi di linguaggio nell’infanzia possono sviluppare, nel corso degli anni, difficoltà e disabilità mentali di vario genere.
Questo nel Regno Unito. E da noi ?
Uguale, se non peggio.
La letteratura per l’infanzia, anche nel nostro Paese, si scontra oggi con la geometrica potenza dell’immagine.
Molti studiosi sostengono che i nostri bambini sono allenati ad esercitare la vista più che l’udito. Imparano cioè a vedere, non ad ascoltare e la loro immaginazione, secondo la psicologa Silvia Vegetti Finzi, ‘risulta più sviluppata della struttura logica del pensiero’.
Anche questo è un segno dei tempi. Di brutti tempi, a mio avviso.
Siamo dinanzi ad un aspetto di quella emergenza educativa sulla quale ritengo si debba porre la massima attenzione, per evitare di aprire le porte ad un tipo di società eticamente povera e persino incapace di dialogare.
Prima era abitudine diffusa delle famiglie italiane radunarsi a tavola per raccontarsi reciprocamente la propria giornata. Poi, per i più piccini, il sonno veniva preceduto e cullato appunto dalla lettura di una fiaba. E quei genitori che erano sprovvisti di libri con le fiabe ogni sera inventavano qualche fantastico racconto.
In questo modo si arricchiva non solo la fantasia ma anche il vocabolario dei bambini. Essi imparavano presto tante parole, anche le più complesse, prendendo gusto alla narrazione.
La famiglia era un luogo di relazione e soprattutto di dialogo. Spesso era allargata ai nonni ed agli zii. Vi confluivano, quindi, le esperienze e le sensibilità di diverse generazioni.
Tutto finito. Oggi non è più così. Oggi la famiglia è frammentata ed incapace di incontrarsi.
Si è pensato che alla lettura delle favole potesse sostituirsi la televisione. Ma troppo spesso la televisione si limita a far vedere, non a far capire. E soprattutto la televisione non può sostituire la comunicazione verbale necessaria all’interno delle famiglie.
Le conseguenze sono sotto i nostri occhi. Stiamo crescendo una generazione che usa un linguaggio mutuato dalla tecnologia. Un linguaggio telegrafico, criptico, essenziale ma soprattutto povero di vocaboli.
Insomma il linguaggio dei messaggini telefonici, dove le lettere vengono sacrificate sull’altare dell’immediatezza, dove  per scrivere ‘più’ e ‘per’ si usano il segno dell’addizione e della moltiplicazione.
E questa generazione, alla quale i genitori non sono stati in grado di raccontare le fiabe, a sua volta non  le racconterà certo ai propri figli. Biancaneve, Cenerentola, ma anche Pinocchio rischieranno così di essere dimenticati. Anzi, del tutto ignorati.
Non credo sia un bene.
Le fiabe sono importanti per i bambini perché li preparano alla vita. Ma in un certo senso sono persino più importanti per gli adulti in quanto li aiutano a dialogare con i loro figli, mettendoli in contatto con quel mondo fantastico nel quale vivono i piccoli.
Chi non racconta fiabe ai propri figli, una volta che li vedrà diventare adulti, difficilmente sarà in grado di riannodare con loro il filo di un dialogo vero. Specialmente quando si tratterà di far capire le difficoltà e le asprezze di una vita che purtroppo non si rivela quasi mai una fiaba. 
Questa incapacità di educare i nostri figli cerchiamo di esorcizzarla provando a non far mancare loro non solo il necessario ma soprattutto il superfluo.
Non a caso oggi il problema maggiore di un genitore è quello di saper pronunciare quei ‘no’ che sono necessari alla crescita di ogni individuo. In questo modo non ci accorgiamo di derubare ai nostri figli persino il piacere dell’infanzia. Che consiste anche nell’imparare a desiderare, non solo nell’ottenere tutto senza difficoltà, quasi senza dover chiedere.

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 


 

 

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