Nel Paese diseguale torna il rischio dell’emigrazione

___________________________________di Dino Perrone

 
In Italia aumenta la distanza che separa i ricchi dai poveri. E cresce anche il numero dei laureati che scelgono di andare altrove per vedersi gratificati nel loro lavoro. Tutti segnali di una emergenza sociale che misura drammaticamente il nostro declino  

Brutto segno se di un governo ci si chiede non cosa sarà  in grado di fare ma, pi๠prosaicamente, quanto potrà  durare.
Questo crescente scetticismo comincia precocemente a registrarsi anche nei confronti dell’esecutivo guidato da Enrico Letta rischiando, con le sue spire,   di soffocarne i primi vagiti.
Brutto segno, ripeto, perché così la situazione del Paese rischia di incancrenire ulteriormente.
Rilanciare l’occupazione attraverso la crescita dell’economia reale è invece l’imperativo categorico che deve darsi il nuovo governo, se davvero si vuole imboccare la strada di una ripresa che non sia effimera ma, al contrario, consenta di guardare con ragionato ottimismo agli anni a venire.
Il problema, tuttavia, è come riuscire a tradurre in realtà  questo imperativo categorico sul quale, a parole, si è un po’ tutti d’accordo.
Occorrono provvedimenti urgenti ma inseriti in una strategia coerente e che non siano condizionati da interessi di parte.
Il governo Letta, per quanto “anomalo” nella sua composizione, è chiamato a concentrarsi su poche ed immediate iniziative capaci di coagulare una forte convergenza tra le forze politiche che compongono la sua eterogenea maggioranza.
Ma per raggiungere tutto questo occorre un clima di generale concordia che, allo stato, non si riesce a scorgere.
Le crescenti fibrillazioni cui abbiamo assistito in queste settimane allontanano, e di molto, la soluzione dei problemi presenti sul tappeto, con ciಠ‘distraendo⿝ l’esecutivo da quelle che debbono essere precise assunzioni di responsabilità  specialmente in tema di rilancio dell’economia e di sostegno alle famiglie ed alle imprese.
In questa ottica appare pi๠che mai opportuno studiare forme di detassazione sulle nuove assunzioni ed in materia di apprendistato. La riduzione del cuneo fiscale è infatti oramai una priorità  a cui non è possibile sfuggire.
Solo in questo modo sarà  possibile ridare ossigeno all’economia reale, favorendo investimenti, ricerca ed innovazione. Solo in questo modo l’Italia tornerà ad essere un polo di attrazione e non un luogo di crescente alienazione per i suoi cittadini.
Ci sono infatti alcuni dati sui quali è opportuno riflettere.
Lo scorso marzo la produzione industriale in Italia è crollata del 5,2%   rispetto allo stesso mese del 2012. Si tratta del peggior dato tra le grandi economie continentali.
Il tutto mentre la crisi continua ad allargare la forbice che divide i ricchi dai poveri.
Secondo le recenti stime dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), infatti, nel nostro Paese il 10% pi๠ricco adesso arriva a guadagnare 10,2 volte quanto il 10% pi๠povero. Un dato che supera, anche se di poco, la media dell’Ocse e che illustra adeguatamente il problema di una migliore politica redistributiva.
Altro elemento su cui riflettere. Nel 2012 l’emigrazione dal nostro Paese è aumentata del 30,1% rispetto all’anno precedente. E si tratta di una emigrazione pi๠giovane, qualificata e ‘convinta⿝ che in passato.
Questi nuovi emigrati, ci dicono le statistiche, hanno infatti una media di 34 anni, sono in prevalenza uomini e, particolare da non sottovalutare, hanno la loro bella e sudata laurea in tasca. Scelgono di andare altrove essenzialmente per vedersi gratificati nel loro lavoro e guadagnano in media molto pi๠di quelli, nelle medesime condizioni, che restano in Italia.
Questa forma di emigrazione interessa le fasce pi๠istruite della nostra popolazione.
Se ne stanno andando, insomma, le giovani generazioni. E con esse rischia seriamente di andarsene anche il futuro del nostro Paese.
Dinanzi a simili dati, cosa ha pi๠senso ? Chiedere quanto dura il governo in carica o piuttosto cosa intende fare ?
Oggi pi๠che in passato il Paese ha bisogno di convergenze.
Questo non vuol dire che governo, forze politiche e sociali, sindacati ed imprese debbano essere d’accordo aprioristicamente su tutto. Questo significa, pi๠realisticamente, che su alcuni obiettivi di fondo e di sistema non è possibile continuare a dividersi. Ci sono cioè urgenze sulle quali è essenziale trovare la quadratura del cerchio nel supremo interesse del Paese, rinviando a momenti migliori gli smarcamenti e le distinzioni di parte.
Altrimenti torneremo al passato. Torneremo cioè ad essere il Paese dell’emigrazione, come negli anni pi๠bui del secolo scorso. Una emigrazione, stavolta, non pi๠manuale ma intellettuale e destinata irrimediabilmente a renderci tutti pi๠poveri e vecchi.

 
Dino Perrone
Presidente Nazionale ACAI