Morti bianche in calo, ma guai ad abbassare la guardia

di Dino Perrone


Nel 2008 sono cadute sul lavoro meno persone rispetto all’anno precedente. Un dato confortante. Tuttavia sarebbe sbagliato pensare di aver già vinto la battaglia per la sicurezza.

 

Cari associati,
agosto tradizionalmente è il mese delle vacanze. In questo periodo un po’ tutti sono in cerca di svago e di riposo, provando ad allontanare gli affanni e le preoccupazioni quotidiane.
Atteggiamento comprensibile, legittimo e profondamente umano. Tuttavia i problemi restano sul tappeto, implacabili, e ci impongono di riflettere, anche in questo periodo, su alcune questioni aperte nel nostro Paese.
Fra tali questioni, riteniamo rimanga prioritaria quella relativa alla sicurezza sul lavoro.
A tal proposito, commentando nelle scorse settimane il rapporto Inail in materia, il Presidente della Camera ha dichiarato che ‘l’infortunio sul lavoro non può essere considerato una fatalità che irrompe all’improvviso e casualmente nella vita lavorativa, ma deve essere considerato come la conseguenza statisticamente prevedibile della condizione in cui si svolge ed organizza il lavoro’.
Parole che ci sentiamo di sottoscrivere in pieno.
Come condividiamo senza riserve l’invito a tenere alta l’attenzione che la terza carica dello Stato ha rivolto a tutte le componenti del mondo del lavoro, pur in presenza di elementi statistici che appaiono confortanti.
I dati licenziati dall’Inail dicono infatti nel 2008 ha perso la vita il 7,22 per cento in meno dei lavoratori rispetto al 2007.
Una inversione di tendenza che è auspicabile continui e si rafforzi anche nei prossimi mesi.
Tuttavia il dato generale, ed ecco perciò l’importanza dell’invito a non abbassare la guardia pronunciato dal Presidente Fini, resta semplicemente raggelante.
Nel 2008 sono morti infatti 1120 lavoratori.
In media, quindi, tre persone al giorno hanno perso la vita.
Tre persone che, al mattino, si erano alzate convinte di andare al lavoro e non a morire. Tre persone che erano certe di poter rientrare a casa, la sera.
Millecentoventi vite stroncate. Millecentoventi storie sulle quali, senza preavviso, è stata scritta la parola fine. Ed a nutrire, a dare un senso a queste storie, vi era un mondo di affetti, di relazioni umane, di sogni, di speranze che è stato bruscamente cancellato.
Tutto questo mondo certamente non riesce ad entrare nelle brevi di cronaca. Tutto questo mondo non può ridursi ad un dato numerico.
Non basta tutta una vita, infatti, a descrivere compiutamente il senso di irrimediabile che è legato alla perdita di una vita umana.
E’ vero che per la prima volta dal 1951 le morti bianche sono scese al di sotto di 1200. Ma il bilancio dei morti continua a restare intollerabilmente alto.
Questa guerra fragorosamente silenziosa che si svolge sui luoghi di lavoro, con i lavoratori tramutati in soldati alle prese con un nemico sempre pronto a tendere agguati, continua a richiedere un tributo di sangue che ci sbatte in faccia l’inadeguatezza del nostro sistema di formazione e sicurezza.
Chi ama vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto, continuerà a dire che in generale, dal 2001 al 2008 i casi mortali di incidenti sul lavoro sono diminuiti del 28 per cento e gli infortuni del 14,5 per cento. Ma si tratta comunque di un guanciale sul quale è oltremodo scomodo dormire.
Ed infatti, a spulciare meglio tra i dati statistici, vengono fuori aspetti poco rassicuranti e sui quali è opportuno avviare una doverosa riflessione.
Desta preoccupazione, ad esempio, l’aumento esponenziale di infortuni sul lavoro di colf e badanti, in larga parte straniere. Come pure non bisogna dimenticare l’incidenza degli infortuni non denunciati perché vedono spesso coinvolti pezzi di lavoro sommersi. Si tratta di infortuni che non vanno a statistica ma che pure esistono.
Oltre a quelli statistici, occorre infatti tenere presenti anche i dati di esperienza. E l’esperienza ci dice nel solo settore edilizio circa la metà sono lavoratori stranieri, esposti il più delle volte a lavori rischiosi, con i cantieri che, per usare le parole efficaci del Presidente dell’Associazione Costruttori di Milano e Lodi, ‘sono una Babele di lingue in cui non è sempre facile imporre la cultura della sicurezza’.
Il lavoro in Italia, quindi, sta cambiando. E con esso sta mutando anche la geografia degli infortuni, che oggi colpiscono appunto in via crescente gli addetti stranieri.
Ciò che ancora non muta a sufficienza, invece, è appunto la cultura della sicurezza, stretta ancora tra ritardi da una parte ed eccessi di burocrazia dall’altro.
Doveroso appare, pertanto, porre estrema attenzione al Testo unico sulla salute e la sicurezza, attuandone tutti i precetti.
Fare finta di nulla, cullarsi anzi su un miglioramento statistico che può rivelarsi del tutto effimero, è certamente il modo peggiore per affrontare il problema.
 

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

 

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