L’umile forza di chi sa chiedere perdono

________________________________di Dino Perrone

 

Papa Francesco, con le parole e con i gesti, ci indica la direzione da prendere per cambiare veramente la società intera partendo da noi stessi. Un esempio luminoso per contrastare l’aridità materiale e spirituale dei nostri tempi

In una società globalizzata, frantumata e superba come l’attuale, dove a ciascuno di noi risulta sempre più difficoltoso chiedere semplicemente scusa, è quasi inevitabile che sia destinato a suscitare sgomento e persino “scandalo” chi invece si mostra ancora capace di chiedere umilmente perdono.

Lo ha fatto, ancora una volta, Papa Francesco.

“In nome della Chiesa chiedo perdono per gli scandali che in questi ultimi mesi sono accaduti sia a Roma che in Vaticano”. Queste le parole pronunziate, con tono addolorato, dal Santo Padre all’udienza generale dello scorso 14 ottobre dedicata ai bambini.

Parole che scuotono per la loro umiltà e per il carico di sofferenza che le ha ispirate, specie perché sono state precedute dalla considerazione che “Gesù è realista ed è inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale avviene lo scandalo”.

Parole che comunque invocano il perdono e mettono a nudo le fragilità di un contesto sociale dove tutti tendono invece a porsi con arroganza dinanzi alle persone ed ai problemi, a “mostrare i muscoli”, a manifestare granitiche certezze.

Molti osservatori, come sempre, hanno invece provato a contestualizzare e storicizzare le parole del Papa, riferendole in un primo momento soprattutto alle vicende di cronaca che negli ultimi tempi hanno sconvolto gli apparati politici ed amministrativi del Comune di Roma.

Padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, premettendo che se il Papa non entra nel dettaglio non tocca a lui farlo, ha invece sottolineato che il Pontefice in questo caso si riferiva agli scandali opera di uomini di Chiesa e che non c’era alcun riferimento politico, tanto meno alle vicende dell’ormai ex sindaco di Roma Ignazio Marino.

Precisazioni doverose che hanno evitato il puntuale gioco delle strumentalizzazioni di parte.

Precisazioni, tuttavia, che certamente non possono sminuire quella che rimane la dimensione autenticamente universale e senza tempo del messaggio del Santo Padre.

Un messaggio che Papa Bergoglio ha voluto affidare non solo ai fedeli, che certamente possono sentirsi turbati da alcuni comportamenti che hanno coinvolto esponenti del clero, ma all’intera umanità.

Chiedere perdono.

Chiederlo non solo in quei casi in cui c’è responsabilità della Chiesa o di uomini della Chiesa. Chiederlo per ogni sofferenza, per ogni insufficienza. Prendere sulle proprie spalle  “tutti i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi”. 

Un messaggio dirompente.

Un esempio di umiltà e coerenza per tutti, credenti e non credenti. Un esempio così lontano, è il caso di sottolineare, dalle disinvolte irresponsabilità che costituiscono il tratto più sgradevole di un ceto politico dove invece la colpa è sempre di qualcun altro. Di quello che c’era prima, di quello che è venuto dopo.

Papa Francesco non omette, non si volta dall’altra parte. E neanche giudica.

Guarda al mondo con sguardo compassionevole ed aperto, consapevole che solamente l’umile forza di chiedere perdono può contribuire a cambiare veramente le cose. A cambiare la vita cominciando a cambiare le nostre esistenze.

Sua Santità anche quando guarda al contingente, all’immediato, lo fa sempre in una prospettiva più delicata e profonda. La sua richiesta di perdono è senza tempo proprio perché ci invita a guardare in noi stessi per essere capaci di andare “oltre”.

Oltre noi stessi, oltre i limiti che abbiamo, in modo da aprire il nostro cuore agli altri.

Non può lasciarci indifferenti, tutto questo.

Ci interroga sul senso profondo ed ultimo dell’esistenza, su una condizione umana dove la miseria materiale e spirituale rischia di prendere il sopravvento in troppe realtà.

Contro questa rugginosa aridità si leva la voce, dolorosa ma ferma, del successore dell’apostolo Pietro.

Ed il vuoto frastuono di questi nostri tempi viene messo a tacere.

In questo fecondo silenzio, come d’incanto, ritroviamo finalmente anche noi stessi.

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI