L’Italia del presepe e quella delle macerie

___________________________________di Dino Perrone

 

 

L’anno si chiude nel segno di una crescente incertezza e di un diffuso rancore sociale. Difficile trovare motivi di speranza in un Paese nel quale le imprese chiudono, i giovani non lavorano e gli anziani debbono vivere con poche risorse a disposizione
 
Le festività natalizie si affacciano su un Paese che il Censis, nel suo rapporto annuale, ha descritto come piegato, disilluso, fermo, impaurito e privo di qualunque desiderio di rischio.
Un Paese di disoccupati che, peraltro, dimostra di avere meno voglia di lavorare degli stranieri che ospita, preda di una crisi non solo economica ma anche spirituale e di valori come mai si ricorda in passato.
Un Paese che appare quasi senza più sbocchi, con una politica sempre meno capace di mostrare autorevolezza, di essere credibile, di indicare un punto di arrivo, un qualche obiettivo, una concreta speranza.
Altro che presepe addobbato per la Festa, quindi. Il panorama italiano somiglia sempre più solo ad un cumulo di macerie, materiali e morali.
Al posto di Babbo Natale, prima di parcheggiare la slitta, ci penseremmo dunque un attimo. C’è il rischio, se gli va bene, di essere preso a palle di neve.
Infondere ottimismo, in queste condizioni, rischia infatti di essere un esercizio non solo sempre più difficile, ma addirittura vano.
Siamo una società, e sono tutti gli studi statistici a dirlo, che al di là dei singoli dettagli appare preda di un pessimismo totale, priva di una speranza collettiva, espressione di una deriva senza fine.
L’Italia è anche altro, certamente. Ma è soprattutto su questo grumo di difficoltà e risentimento sociale, fotografato con gelida perfezione dal 48° rapporto del Censis, che bisognerebbe concentrare l’attenzione di tutti.
Siamo un Paese che, anche sotto il ricorrente peso degli scandali e del malaffare, rischia di decomporsi in tutte le sue articolazioni. Un Paese che, pur conservando un acuto senso delle ingiustizie che regolano la nostra vita sociale,  quasi non si indigna più ed ha soprattutto eroso larga parte delle sue speranze nel futuro.
Anche questo spiega come oltre il 75% dei giovani compresi nella fascia di età tra i 15 ed i 34 anni non studia, non lavora, non cerca una occupazione, non segue alcun corso di formazione. Siamo alle prese con una generazione ferma, senza stimoli, senza sogni. Senza più neppure illusioni.
Abbiamo rimosso il passato, pesantemente ipotecato il presente ed ora, dati del Censis alla mano, ci stiamo giocando anche una larga fetta di futuro.
Il quadro è desolante, deprimente. Profondamente brutto.
Risalire la china, in tutti i settori, richiederebbe sforzi che, al momento, non sembra che si vogliano sostenere.
E la preoccupazione per la tenuta sociale è destinata ad aumentare. Il punto di rottura, il punto di non ritorno può essere infatti molto vicino.
Sembra sia venuta meno, in questi anni roventi ed acri, la capacità di ascolto e di condivisione. Nessuna categoria sociale è al riparo.
Dei giovani, del loro disagio sociale tramutato in una sorta di preoccupante stato catatonico, ho appena detto. Ma accanto ai giovani ci sono gli anziani, molti dei quali privi di adeguate tutele reddituali. Mentre infatti la spesa per le pensioni è arrivata quasi al 17% del prodotto interno lordo, un pensionato su quattro continua a dover fare i conti con un assegno mensile che non tocca neppure i mille euro. Arrivare alla fine del mese, per molti dei nostri anziani, rimane faticoso quanto scalare l’Everest.
E poi incide sul quadro generale la crescente difficoltà di tenuta del nostro sistema produttivo che vede tantissime imprese costrette alla chiusura anche a cagione del peso enorme di una tassazione squilibrata che certo non favorisce una duratura ripresa della domanda interna. Tutti si premurano di dire che bisogna abbassare il carico fiscale, ma poi si scopre che il cumulo di Tasi, Tari ed Imu è destinato non solo a vanificare gli effetti del bonus di ottanta euro mensili ma anche a sottrarre alle famiglie circa un miliardo e mezzo di potenziali acquisti del periodo natalizio.
L’Italia dei mille presepi colorati che ci attenderemmo in queste settimane ha lasciato dunque il posto all’Italia delle macerie, disseminate lungo tutti i mesi dell’anno. Macerie che nessuno dimostra di saper rimuovere. Macerie che, crisi dopo crisi e scandalo dopo scandalo, continuano ad accumularsi lasciando una scia maleodorante.
Cosa fare, dunque ? Certo non arrendersi allo stato delle cose.
Adoperiamoci allora affinchè questo Natale sull’orlo della catastrofe possa rappresentare l’inizio di una più consapevole speranza, da costruire giorno dopo giorno con le nostre azioni, i nostri comportamenti, la nostra coerenza.

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI