L’invisibile esercito che si aggira per l’Italia

___________________________________di Dino Perrone

 

E’ quello dei giovani disoccupati, tagliati fuori dal mercato del lavoro e da adeguate forme di tutela. Un patrimonio che il nostro Paese sta colpevolmente sprecando per la scarsa lungimiranza della sua classe politica.

Cari associati,
in questa coda di fine anno stiamo assistendo con crescente preoccupazione alla trasformazione della crisi finanziaria, che ha scosso duramente l’economia mondiale, in crisi del lavoro.
Una crisi ancora più subdola e dagli effetti, purtroppo, più duraturi e laceranti.
Un dato su tutti.
Nei primi nove mesi del 2009 è stato presentato oltre un milione e mezzo di domande per accedere all’indennità di disoccupazione e quasi sessantamila per quella di mobilità. La stragrande maggioranza di queste domande reca la firma di uomini e donne al di sotto dei quarant’anni.
Stiamo diventando, quindi, sempre più il Paese della disoccupazione giovanile, nel quale si fa molto presto a restare tagliati fuori dal mercato del lavoro.
Un mercato nel quale certo la crisi colpisce tutti, anche le fasce tradizionalmente più garantite, ma lo fa ancor più duramente con i lavoratori atipici, i precari, quanti hanno sottoscritto un contratto a tempo determinato. Per tutti costoro, infatti, le politiche del lavoro elaborate in questi anni si sono mostrate carenti proprio sul fronte delle garanzie e delle tutele.
Nel corso dell’ultimo decennio in Italia sono state introdotte una serie di norme che avrebbero dovuto aumentare la flessibilità per rendere meno ingessato il nostro panorama del lavoro. Tutto questo ha però comportato un aumento della precarietà che oggi, dinanzi ad una crisi che è difficile affrontare con gli strumenti tradizionali, presenta costi sociali ed esistenziali altissimi.
E’ stato calcolato di recente che la crisi sinora ha già tagliato quasi il 10 per cento dei contratti a tempo determinato ed oltre il 12 per cento di quelli di collaborazione. Secondo alcuni economisti, oggi nel nostro Paese chi ha tra i sedici ed i ventiquattro anni corre un rischio di disoccupazione quattro volte più alto di chi ha superato i 30 anni. A sua volta uno studio del Cnel calcola che nel primo semestre di quest’anno, su quasi duecentomila nuovi disoccupati, oltre la metà è rappresentata da giovani al di sotto dei 35 anni.
Un esercito di giovani disoccupati, invisibile e dolente, si aggira insomma in Italia.
Uno spreco enorme di risorse, di professionalità, di speranze. Un patrimonio di competenze che non riesce a restare nel mercato del lavoro, ne viene espulso ed ha ben poche prospettive di rientrarvi, almeno a breve.
Di questo passo entrerà presto in crisi anche quel patto tra generazioni che è alla base del nostro sistema pensionistico. Lavorare oggi, cioè, per garantirsi il domani attraverso il versamento dei contributi.
L’assenza, o perlomeno l’insufficienza del lavoro, con conseguente impossibilità di versare adeguati contributi, rischia infatti di rendere estremamente leggera la pensione dei prossimi anni. Il tasso di sostituzione, il rapporto cioè fra l’ammontare dell’ultima retribuzione e la pensione, appare così destinato a restare inesorabilmente inchiodato tra il 50 ed il 77 per cento.
Si tratta di questioni che davvero dovrebbero togliere il sonno a tutti, inducendo ciascuno a fare concretamente qualcosa nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità.
Ed invece, a partire dalla politica, vi è una sensazione di generale latitanza.
Come uscirne ?
Tocca pur sempre alla politica, nel suo complesso e con tutti i suoi limiti, elaborare gli strumenti più idonei per fare in modo che questa situazione si inverta. Altrimenti avremo un mercato del lavoro sempre più ‘vecchio’, con pochi stimoli e ricambi. Un mercato nel quale il sistema degli ammortizzatori sociali non sarà in grado di intercettare i nuovi bisogni.
Ed avremo un Paese precocemente invecchiato. Un Paese che respinge i giovani, invitandoli silenziosamente a fare la valigia per trovare un lavoro vero all’estero.
Ma attenzione. Quello che abbiamo davanti non è solo un problema meramente economico. E’ un problema sociale che investe la stessa tenuta morale del nostro Paese.
Ed è proprio qui che la politica mostra la corda, rivelando tutta la sua inadeguatezza nel momento in cui non dimostra di accorgersi che, appunto, siamo dinanzi ad una emergenza che supera l’angusto recinto dell’economia.
Togliere il lavoro, infatti, significa togliere la dignità.
E qualsiasi politica che mortifichi la dignità della persona non è mai una buona politica.

 

Dino Perrone
Presidente nazionale ACAI 

 

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