Le mille scorciatoie che conducono in un vicolo cieco

________________________________di Dino Perrone

 

Riflettori accesi sulla corruzione, dopo troppe colpevoli distrazioni. E’ un segnale di speranza per un Paese come il nostro nel quale i fenomeni degenerativi, a livello individuale e collettivo, rappresentano un costo sociale non più sostenibile

Ci sono alcune statistiche che fanno decisamente male anche solo a guardarle. Ma ignorarle sarebbe anche peggio.

Bisogna avere allora il coraggio di non ignorarle, certe statistiche, di osservarle anzi con doverosa attenzione perché ci dicono molto di un Paese, della sua sensibilità, della sua capacità di avere rispetto della propria storia e dei suoi cittadini.

Una di queste statistiche, preziose proprio perché urticanti, è quella relativa alla percezione della corruzione, come emerge nel nuovo rapporto presentato a Roma nelle settimane scorse da Transparency International, organizzazione internazionale non governativa che si occupa in profondità di questi temi.

Una breve premessa per i meno informati.

L’indice di percezione della corruzione, che dal 1995 viene pubblicato con cadenza annuale appunto da Transparency International, è un indicatore statistico utilizzato per creare una graduatoria dei Paesi ordinata sulla base “dei loro livelli di corruzione percepita, come determinati da valutazioni di esperti e da sondaggi d’opinione”. L’organizzazione definisce la corruzione come “l’abuso di pubblici uffici per il guadagno privato”.

La percezione avvertita è l’unico indice utilizzabile e paragonabile fra gli Stati, perché la corruzione è di per sé un fenomeno occulto e le legislazioni per la prevenzione e la repressione sono molto diverse tra loro. Se per stilare una simile graduatoria si facesse riferimento soltanto alle inchieste ed ai processi, del resto, resterebbe fuori tutto ciò che gli inquirenti non sono riusciti a dimostrare, mentre di solito proprio quello che non emerge rappresenta la parte più odiosa del fenomeno corruttivo. La scala con la quale si misurano i dati va da zero a cento, dove lo zero corrisponde al più alto grado di corruzione percepita e cento al più basso.

Ebbene, questa classifica attualmente ci vede solo al  61° posto su 168 Paesi nel mondo per trasparenza ed al penultimo posto in Europa, seguiti solo dalla Bulgaria e dietro alla Romania ed alla Grecia.

E ci è andata pure bene, questo è il paradosso. Lo scorso anno questa stessa graduatoria ci vedeva infatti ancora più in basso, inchiodati al 69esimo posto.

Siamo insomma risaliti di otto posizioni e tanto è bastato per far dire a Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che la classifica di Transparency International segna comunque “un passo avanti”, anche se “l’Italia resta un paese con un livello di corruzione molto alto”.

Ma Cantone è magistrato e uomo troppo esperto per non comprendere come una rondine non faccia primavera e che, tanta, ma davvero tanta, è la strada ancora da percorrere per migliorare la situazione e diventare un Paese meno opaco e più rigoroso nel rispetto delle regole.

Ed infatti proprio Cantone  ha spiegato che la lotta alla corruzione  “si fa in modo molto graduale, molto lento” e che questi risultati positivi rappresentano solo “la testimonianza che bisogna andare avanti su questa strada”.

E’ già importante che si torni a parlare di corruzione, che resti acceso questo faro di attenzione. E’ importante che se ne discuta, che se ne avverta il carico inaccettabile che grava sul Paese e che lo si faccia nelle aule parlamentari come sui luoghi di lavoro, nella dimensione pubblica come in quella privata.

Siamo il Paese che troppe volte, dinanzi alla strada impervia del rispetto delle regole, preferisce imboccare qualche più agevole scorciatoia. Ma dove conducono tutte queste scorciatoie ?

In questi giorni l’Eurispes ha calcolato che al Prodotto interno lordo del nostro Paese vengono sottratti oltre duecento miliardi di economia criminale e che il cosiddetto “sommerso”, che sfugge ad ogni forma di tassazione, si aggira ormai attorno ai 540 miliardi. Zavorre pesantissime che gravano sul futuro di tutti noi.

La corruzione si contrasta con regole più efficaci ma prima ancora con comportamenti più avvertiti. Servono insomma strumenti giuridici ma anche, prima di tutto, strumenti culturali, abiti mentali decisamente nuovi che facciano comprendere come la ricerca ad ogni costo di qualsiasi scorciatoia non può che condurre in un vicolo cieco.

Altrimenti l’eccezione, l’esenzione, la deroga e la precarietà continueranno a costituire per paradosso la vera regola che governa l’Italia, sia a livello collettivo che personale.

La scelta del compromesso, del sotterfugio, dell’elusione di ogni norma ci ha condotti all’assurdo di coniare una massa sempre più enorme e complicata di leggi destinate ad essere violate. Ed in tal modo la nebbia, non la trasparenza, avvolge tutte le scelte sociali.

 

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI