La manovra economica di un Paese ancora troppo lento

___________________________________di Dino Perrone

 

Dalla legge di stabilità il governo si attende l’auspicato cambio di passo capace di mutare immagine e sostanza della società italiana. Lodevoli le intenzioni, chiari gli obiettivi. Ma quale impatto concreto avrà tutto questo sulle famiglie e le imprese ?

La prima legge di stabilità che reca la firma di Matteo Renzi è un insieme di provvedimenti che, nelle intenzioni del premier, dovrebbe contribuire a sveltire non poco un Paese che continua ad essere troppo imbolsito e lento.
Questo appunto nelle intenzioni. Bisognerà vedere poi come questi certamente lodevoli intendimenti si sposeranno con la realtà che, spesso, è più ruvida di quanto ci si attende.
Renzi ha definito la sua manovra ‘anticiclica’ e rispettosa del limite del 3% previsto dall’Unione Europea. Una operazione da 36 miliardi di euro che poggia, in gran parte, su una drastica riduzione della spesa della pubblica, con tagli per 15 miliardi, cui si accompagna l’allentamento della pressione fiscale, la cancellazione della componente lavoro dall’Irap a partire dal prossimo anno e l’azzeramento dei contributi per i nuovi assunti a tempo indeterminato.
Una manovra quindi di tipo espansivo, con interventi sia sul fronte della domanda, cioè sui salari e sui consumi, che sull’offerta con stimoli all’economia a partire come detto dalla riduzione dell’Irap per le imprese.
Tutto bene ? E’ davvero questa la manovra che serviva e serve per rilanciare l’immagine e la sostanza del nostro Paese ?
Di questo, ovviamente, si discute e si discuterà ancora a lungo, dentro e fuori le aule parlamentari. Ma il rischio è di farlo con poco costrutto in assenza di controprove credibili e verificabili.
Certo è che questa legge di stabilità, per come abilmente congegnata, cerca di tenere insieme due esigenze che, pur distinte, per il bene del Paese sono fatalmente destinate ad essere sempre più coincidenti.
Da una parte essa rappresenta il tentativo di imprimere una spinta significativa a un’economia che, con un prodotto interno lordo tornato ai livelli di quattordici anni fa, ancora non è in grado di uscire dalla recessione. I miliardi destinati ad abbassare le tasse delle imprese vanno appunto in questa direzione e servono a lanciare segnali positivi al mondo produttivo.
Dall’altra, la manovra è concepita per ottenere il consenso del maggior numero possibile di italiani. In questo senso gli 80 euro confermati nelle buste paga vogliono rendere più solido il patto politico del premier con le fasce sociali dai bassi redditi.
Del resto, è anche vero che una manovra tutta “lacrime e sangue” oggi non sarebbe praticabile. Il Paese è infatti stremato ed ha bisogno non di ulteriori salassi ma di robuste iniezioni di fiducia.
I principali interrogativi riguardano ovviamente la natura dei tagli di spesa. L’annunciata riduzione dei trasferimenti agli enti locali ha già suscitato vibrate proteste da parte dei diretti interessati. Mai come in questi casi, ognuno recita la propria parte. Tuttavia è chiaro che se le Regioni e gli altri enti decentrati non riusciranno a ridurre le proprie uscite, eliminando oppure almeno significativamente riducendo gli sprechi di risorse, assisteremo solo ad uno spostamento del carico fiscale dal centro alla periferia. Ed a pagarne le conseguenze saranno sempre i cittadini, le famiglie e le imprese.
Così come rischia di avere effetti negativi sulle fasce sociali più deboli anche il taglio strutturale di oltre il 30 per cento al fondo Patronati. Una misura che inevitabilmente pregiudicherà l’attività di assistenza e tutela fornita in forma gratuita a milioni di persone da parte di questi organismi che, secondo le più recenti stime, garantisce all’Inps un risparmio annuo di 564 milioni di euro occorrenti per garantire annualmente gli stessi servizi.            
Tutto questo con buona pace, allora, delle lodevoli intenzioni ‘espansive’ ed ‘anticicliche’  del governo in carica.
Insomma, è a tutti evidente che la strada per cambiare l’Italia è ancora lunga e difficile. E non può bastare solo una legge di stabilità per fornire il carburante necessario a percorrerla tutta.
La strada è lunga, ripeto. Ed è una strada da percorrere con la giusta dose di determinazione ma anche con la necessaria dose di umiltà, sottraendosi alla tentazione di credersi gli unici depositari della formula capace di raddrizzare i tanti rami storti del Paese.
In questo senso, forse è il caso che il premier cominci a rivedere qualcosa nel suo rapporto con quanti non si mostrano pronti a tesserne le lodi, sempre e comunque. Tutti coloro che, dai sindacati alle altre organizzazioni di mediazione e rappresentanza sociale, legittimamente sottolineano le incoerenze dell’azione di governo non possono essere visti sempre e solo come un intralcio, un intoppo, un fattore di disturbo.
L’illusione dell’autosufficienza, infatti, è quanto di più pericoloso può esserci per chi assume ruoli di alta responsabilità. Per sottrarsi a simili rischi, occorre una continua ricerca del dialogo, del confronto, dello scambio di idee e contributi. Con tutti.
Avanzare allora qualche dubbio, sollevare alcune perplessità, sollecitare una riflessione ancor più accurata sulle cose da fare può servire proprio ad evitare qualche pericoloso errore di valutazione capace di annidarsi anche in questa manovra economica. 
 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI