Il filo spezzato

________________________________di Dino Perrone

 

Il ripetersi di episodi di violenze all’interno di strutture di assistenza ai più deboli impone una seria riflessione. E’ un problema che riguarda l’affermarsi nel nostro Paese di un modello culturale che insegna, sbagliando, che la vita è solo competizione

Ci sono notizie che ancora ci scuotono.

Notizie capaci di squarciare il velo di quotidiana indifferenza che oramai, come un bozzolo, racchiude la nostra esistenza.

Notizie disturbanti, certo, ma che hanno almeno il pregio di sollecitarci qualche interrogativo.

E molti, davvero molti, sono gli interrogativi che sollevano gli episodi di violenze sui bambini negli asili-nido che, ormai con allarmante frequenza, continuiamo a dover registrare da qualche tempo a questa parte.

L’ultimo in ordine di tempo è venuto alla luce in una struttura comunale di Roma dove una educatrice è stata arrestata dai Carabinieri ed altre due sono state sospese dall’incarico per maltrattamenti aggravati.

Abbiamo visto scene aberranti, abbiamo letto resoconti agghiaccianti di violenze corporali e psicologiche perpetrate su bambini tra dodici e ventiquattro mesi di età, costretti a mangiare con la forza e legati ai passeggini. Bambini sbattuti in disparte e lasciati a piangere per ore.

Schiaffi, scossoni, urla ad ogni disobbedienza. Tutto documentato attraverso intercettazioni ambientali e l’utilizzo di telecamere, a seguito di segnalazioni di alcune educatrici supplenti.

Dopo gli inquirenti, la parola passerà alla magistratura che, vagliati tutti gli elementi, emetterà le sue sentenze. Noi aspettiamo fiduciosi, come sempre.

Ma il disagio resta.

Il ripetersi di simili episodi rischia infatti di allontanare gli stessi dalla casella, per certi versi ancora rassicurante, dell’eccezionalità per avvicinarli pericolosamente a quella della normalità. Troppi casi, e troppo simili, per ritenerli semplici mele marce in un cesto di mele buone.

C’è qualcosa che non torna.

E’ come se sia stato attraversato un confine, conducendoci in territori inesplorati quanto inquietanti. E’ come se sia venuto meno quel patto sociale, non scritto ma essenziale, per cui qualsiasi comunità è sempre chiamata a proteggere e tutelare i più deboli, i più indifesi.

Si è spezzato, o quantomeno allentato, il filo che, in quanto membri dello stesso contesto sociale, ci tiene legati l’un l’altro.

Episodi analoghi di violenze ed angherie si sono infatti registrati anche in case di riposo per anziani, in centri di accoglienza per disabili, persino nelle strutture ospedaliere. In tutti quei luoghi, cioè, dove l’essere umano dovrebbe essere accudito e protetto e non trovarsi, invece, in completa balìa dell’altro.

La politica, come sempre, può fare molto. Nel caso delle violenze all’interno degli asili-nido approvando, ad esempio, la legge nazionale sugli educatori ancora giacente alla Camera. Uno strumento che renderà obbligatoria la qualificazione professionale degli operatori a cui potrebbe affiancarsi la proposta di legge per la videosorveglianza delle strutture che prestano assistenza ai più deboli. Riqualificazione e deterrenza, insomma, come strada maestra per garantire maggiore sicurezza a tutti.

La politica, ripeto, può fare molto. Ma occorre anche altro.

Il problema infatti non riguarda gli asili-nido o la scuola o le strutture di ricovero ed accoglienza. Se così fosse, si potrebbe risolverlo in fretta. Appunto con una legge.

Il problema è invece più complesso perché occorre promuovere una cultura diversa, che sappia restare nei confini dell’umanità. Che sappia guardare all’uomo, alle sue ansie, ai suoi bisogni, alla sua essenzialità.

Occorre il rispetto per l’altro. Occorre sentirsi parte dell’altro, di ogni altro. Occorre comprendere che si può essere davvero felici solo se felici lo sono anche gli altri.

Occorre, in ultima analisi, ritornare a noi stessi contrastando quel modello culturale nel quale genitori ed educatori insegnano che la vita è solo competizione e che è uno sconfitto chi magari si ferma per aiutare un compagno caduto.

Poco sopra ho scritto che, dinanzi a certi episodi, è come se sia stato attraversato un confine. Ora ci siamo smarriti. Brancoliamo nel buio.

Se vogliamo salvarci, se vogliamo tornare indietro, è necessario ritrovarci.

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI