Il coraggio di restare, il dovere di sperare

___________________________________di Dino Perrone

 

Da una parte la principale azienda automobilistica italiana cambia pelle e sede legale, dall’altra novemila laureati hanno lasciato l’Italia nel 2013. Segnali di un Paese che fatica a tenere il passo rischiando seriamente di restare immobile

 

Fiumi d’inchiostro e di parole continuano a seguire l’annuncio, da pi๠parti definito storico, del trasferimento all’estero della nostra principale azienda automobilistica.

Quell’azienda che d’ora in avanti dobbiamo abituarci a chiamare non pi๠Fiat bensì FCA, acronimo di Fiat Chrysler Automobiles. Un gruppo a dimensione globale che avrà  sede legale in Olanda, domicilio fiscale in Inghilterra e si quoterà  a Wall Street e Milano.

Fiumi d’inchiostro e di parole che non di rado esprimono preoccupazioni per l’impatto occupazionale ed anche di immagine che tutto ciಠpotrà  comportare per il nostro Paese. Preoccupazioni, in verità , non del tutto campate in aria, almeno sino a quando non saranno chiariti in maniera compiuta i singoli aspetti di una operazione industriale indubbiamente ardita ed ambiziosa che rischia, perà², di rendere sempre pi๠residuale la presenza autenticamente italiana sul proscenio internazionale.

La Fiat espatria, è stato detto e scritto.

Effettivamente pensavi alla Fiat e ti veniva in mente Torino con la sua fascinosa ritrosia.

In futuro questa immedesimazione sarà  impossibile perché il Lingotto non è pi๠“il tutto”, ma solo una “parte del tutto”. Importante, certo, ci si augura ancora fondamentale dal punto di vista strategico, ma pur sempre solo una parte.

La partita adesso non sarà  giocata esclusivamente a Torino ma coinvolgerà  anche Detroit e andrà  in scena su altri campi, alcuni davvero molto lontani.

E’ il segno dei tempi e l’effetto di tante cause. Del resto lo spostamento delle produzioni all’estero è una strategia adottata oramai da circa un ventennio dai principali costruttori europei. Ed in Italia, in particolare, si deve pur sempre fare i conti con un costo del lavoro che è mediamente superiore del 40% rispetto ad altri paesi occidentali.

Detto questo, e senza voler esprimere giudizi definitivi su una strategia industriale la cui efficacia potrà  essere testata compiutamente solo negli anni a venire, resta la necessità  di salvaguardare quell’inestimabile patrimonio rappresentato dalla manodopera e la tecnica italiane, giustamente considerate tra le migliori al mondo. Intendo dire che il nostro Paese, sostanzialmente privo di materie prime, non puಠconsentirsi di abbandonare il comparto manifatturiero al suo destino.

Ed è qui che i nodi vengono al pettine.

La persistente incapacità  di abbattere il peso del cuneo fiscale che grava sulle nostre imprese condiziona le scelte degli investitori, necessariamente portati a privilegiare quelle realtà  dove il contesto generale consente di risparmiare sui costi della manodopera e di realizzare impianti di relativo impatto economico. In tal modo è perಠinevitabile il rischio di una dispersione di talenti ed esperienze che non puಠessere sacrificata sull’altare delle convenienze del momento.

Colpisce in tutto questo la sostanziale inadeguatezza della politica italiana, incapace in tutti questi anni di adottare soluzioni che tutelino il valore della nostra manodopera e rilancino la domanda interna.

Detassare il pi๠possibile il lavoro, favorire lo sviluppo dei talenti, incentivare gli investimenti, la ricerca, l’innovazione. Se ne discute da anni, senza venire a capo praticamente di nulla.

A preoccuparmi allora non è che la Fiat, come si è detto e scritto, espatria. O addirittura, come qualcuno ha adombrato, che la Fiat tradisca o sia irriconoscente. Tradimento ed irriconoscenza appartengono alle persone, non alle imprese.

Non mi preoccupa, ripeto, tutto questo. Né mi indigna.

A preoccuparmi ed indignarmi è il fatto che nel solo 2013 hanno lasciato il nostro Paese oltre novemila laureati. A conferma di come le vere opportunità , di crescita e di lavoro, per i nostri giovani siano altrove e non in Italia. Fino a quando non sarà  fatto abbastanza per trattenere tutti questi talenti continueremo a restare ai margini di qualsiasi impero, perdendo ogni centralità . Fino a quando non torneremo a privilegiare il merito non saremo attrattivi per nessuno.

Di questo passo, perà², il Paese lentamente è destinato a morire, stretto tra il coraggio di restare e il dovere di sperare. Ed  ogni giorno che trascorre nel sostanziale disinteresse della politica per i problemi reali delle persone aumenta la dose di doveroso coraggio necessaria per restare e continuare a sperare.

 

Dino Perrone
Presidente Nazionale ACAI