E se ci liberassimo da certe ossessioni?

________________________________di Dino Perrone

 

Si continua a misurare lo stato di salute dell’Italia facendo riferimento solo al Prodotto interno lordo. Ma forse è arrivato il momento di non sottovalutare altri parametri, persino più importanti, che possono dirci davvero se siamo felici ed orgogliosi del nostro Paese

Siamo ancora un Paese felice ? E se non lo siamo più, da cosa deriva la nostra infelicità ?
Domande lecite, alle quali fornisce solo parziali risposte il rapporto “World Happiness” presentato di recente a Roma nei giorni precedenti la celebrazione della prima Giornata Mondiale della Felicità, promossa dalle Nazioni Unite.
Un rapporto che mette in fila 156 Paesi e che vede in testa la Danimarca davanti alla Svizzera, primatista lo scorso anno. Seguono Islanda e Norvegia, poi Finlandia, Canada, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Australia e Svezia. Siria, Afghanistan e otto paesi della fascia sub-sahariana sono invece i luoghi meno felici in cui vivere. Gli Stati Uniti si collocano al tredicesimo posto, l’Italia al cinquantesimo preceduta da Stati come Uzbekistan, Malaysia e Nicaragua.
Ma siamo soprattutto noi italiani, stando a questo rapporto, a registrare il maggiore calo della felicità negli ultimi anni.
E’ solo un caso ? Oppure si tratta di uno dei tanti lasciti negativi di una crisi che ha acuito le disuguaglianze ed ampliato le distanze sociali ?
Questo studio, che si propone di misurare la felicità percepita dai cittadini, ci dice infatti che le persone si dimostrano più felici vivendo in società nelle quali le disuguaglianze sono ridotte. Ed è uno studio che tiene conto non solo del Pil reale pro capite, ma anche dell’aspettativa di vita in buona salute, della possibilità di avere qualcuno su cui contare, della generosità, della libertà dalla corruzione e della possibilità di fare scelte che cambiano gli stili di vita.
Tutti “indici” questi ultimi che da tempo, evidentemente, non sono proprio al rialzo nel nostro Paese.
Parametri che ci liberano dall’ossessione dello zero virgola di variazione percentuale del nostro Prodotto interno lordo e che ci conducono su territori forse non del tutto esplorati ma parimenti importanti.
Parametri che, sgomberando il campo dalle narrazioni politiche di parte, ci dicono che gli italiani non si considerano certo sereni, alle prese come sono con nuove forme di povertà, tra disoccupazione e malessere sociale, che rendono incerto il futuro.
Come uscire da questa infelicità ?
Jeffrey Sachs, co-redattore di questo rapporto e direttore dell’Earth Institute alla Columbia University, suggerisce di sostituire un approccio incentrato esclusivamente sulla crescita economica  con delle analisi più articolate che abbiano di vista la costruzione di società più giuste e sostenibili.
Difficile dargli torto, difficile ignorare questo invito.
Viviamo in una società complessa e dobbiamo renderci conto che il benessere di uno Stato e delle persone non è legato solo al reddito ma a mille altre dimensioni.
Occorre quindi orientare meglio le scelte della politica, promuovendo un modello di sviluppo diverso che abbia al centro l’essere umano e non i prodotti.
Vanno appunto in questa direzione anche i frequenti richiami di Papa Francesco a rispettare maggiormente l’ambiente, superando un contesto di dominanza della dimensione economica e di quella tecnologica per arrivare ad una società che non violenti le persone e le cose.
E’ un tema che interroga tutti, non solo oggi. Un tema al quale non possono sottrarsi le classi dirigenti, smettendola di essere attente solo alle variazioni degli indici economico-produttivi.
Il 18 marzo 1968, in un famoso discorso all’Università del Kansas, Robert Kennedy pronunciò queste parole: “Il Prodotto interno lordo non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia del loro momenti di svago. Il Pil non misura nè la nostra arguzia nè il nostro coraggio, nè la nostra saggezza nè la nostra conoscenza, nè la nostra compassione nè la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.
E’ passato quasi mezzo secolo. Il mondo, da allora, è largamente cambiato. Ma queste parole conservano intatta tutta la loro efficacia, la loro necessarietà. E ci dicono che sì, il mondo è mutato. Ma non è affatto sicuro che sia anche migliorato.

 

 

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI