Debito pubblico convitato di pietra

I timidi segnali di crescita economica dovrebbero indurre a riflettere sul tema di come ridurre l’indebitamento del Paese. Ma di questo argomento non c’è stata quasi traccia nel dibattito politico. Una “dimenticanza” destinata a pesare sul nostro futuro

C’è stato un ingombrante convitato di pietra nella campagna elettorale.
Mi riferisco al nostro debito pubblico giunto ormai a sfiorare il 132% del Prodotto interno lordo. Un “mostro” al quale ogni anno sacrifichiamo 65 miliardi di euro di soli interessi. Un fardello di oltre 2.250 miliardi che, inevitabilmente, condiziona pesantemente qualsiasi scelta di politica economica e sociale.
Eppure di tutto questo si è discusso ben poco. Sul tema, la generalità delle forze politiche non ha dedicato che pochi e vaghi cenni, preferendo altri argomenti, alcuni persino fantasiosi, sul quale provare ad incanalare il consenso.
Un Paese davvero maturo dovrebbe invece, a mio avviso, guardare in faccia i problemi che è chiamato ad affrontare.
Ed una classe dirigente davvero degna di questo nome dovrebbe non eludere le questioni più spinose ma, al contrario, porsi seriamente il quesito su come affrontarle e risolverle. Invece la tendenza perniciosa è quella di provare a nascondere tutta la polvere sotto il tappeto.
Certo, parlare di debito pubblico e della conseguente necessità di ridurlo anche con misure drastiche è atteggiamento che cozza terribilmente con il clima generale di una campagna elettorale caratterizzata, purtroppo, da una gara grottesca a chi è riuscito a spararla più grossa.
Ma la questione rimane. E rimane in tutta la sua gravità.
Una questione che rimanda, appunto, alla maturità del Paese. Un Paese che ha bisogno di verità e non di blandizie. Di ragionamenti e non di furori. Di riflessioni e non di invettive.
Soprattutto, un Paese serio ha bisogno di compiere delle scelte e non restare immobile in mezzo al guado.
Scelte che possono andare in direzione della crescita e della riduzione della spesa pubblica ovvero, al contrario, in direzione di un ulteriore inasprimento della leva fiscale.
Scelte, le une o le altre, comunque da compiere e poi rivendicare dinanzi ai cittadini.
E’ evidente, infatti, che non può bastare la flebile crescita economica in atto a frantumare il macigno del debito pubblico.
Occorrono misure che non siano dei meri palliativi ma che indichino una radicale inversione di rotta rispetto ad un passato caratterizzato da misure tampone.
Tutto questo tenendo presente anche il ragionamento che sembra farsi strada a livello europeo e che prevede la costituzione di una sorta di fondo monetario che dovrebbe assistere i Paesi in difficoltà nell’opera di ristrutturazione del proprio debito pubblico. Forse il primo passo, questo, verso regole europee  più semplici e meno rigide in presenza di fenomeni recessivi.
Non so quale Italia è destinata ad uscire dalle urne il quattro marzo. Mi auguro solo che la questione del debito pubblico non resti ancora a lungo sullo sfondo ma che, anzi, guadagni l’attenzione che merita.
Chiunque è chiamato a governare il Paese deve finalmente dimostrare di avere ben chiara la consapevolezza che una spesa pubblica fuori controllo è destinata ad avere effetti sempre più deleteri per i nostri conti. Effetti ancora più odiosi se a questa spesa fuori controllo si accompagna anche una qualità dei servizi sempre più bassa.
Di tutto questo, ripeto, non c’è quasi stata traccia in campagna elettorale. E’ auspicabile che se ne cominci a parlare, almeno a parlare, ad urne chiuse.

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI