Coperta troppo corta, spesa pubblica troppo larga

___________________________________di Dino Perrone

 
Per scongiurare l’aumento dell’Iva, crescono gli importi delle anticipazioni di Ires ed Irap. Ancora una volta è il sistema produttivo italiano a dover tamponare, con l’inasprimento fiscale, le falle di un sistema prigioniero di troppi sprechi

Storicamente la spesa pubblica, in Italia, si è sempre rivelata un muro troppo granitico da poter abbattere o quantomeno scalfire in maniera significativa.
Ci hanno provato, soprattutto a parole, tutti i governi che si sono via via succeduti, in particolar modo dalla metà  degli anni Novanta del secolo scorso in poi.
Nessuno ci è riuscito, facendo cioè seguire a quelle parole comportamenti coerenti.
Il risultato è che abbiamo assistito, al di là  delle lodevoli dichiarazioni d’intenti, a patetici tentativi di demolire i mattoni della spesa pubblica brandendo di volta in volta non il necessario piccone ma un pi๠innocuo piumino per la cipria.
Ed anche oggi non si intravedono segnali di una qualche inversione di tendenza, nonostante sia finalmente entrata nel comune sentire di tutti gli italiani la necessità  di eliminare ogni forma di spreco di danaro pubblico.
Non a caso anche in queste ultime settimane, per ridare fiato all’economia reale del Paese, si è preferito agire come di consueto sulla leva fiscale piuttosto che concentrarsi sui tagli alla spesa improduttiva.
Tanto per dire, non giova affatto alle nostre imprese l’inasprimento dell’acconto dell’Ires e dell’Irap deciso dall’esecutivo in carica per far fronte al rinvio dell’aumento dell’aliquota ordinaria dell’Iva. Si tratta infatti di una misura destinata ad incidere non poco su una liquidità  imprenditoriale che è già  piuttosto scarsa.
Anche in questo caso, insomma, stiamo scontando la storica quanto persistente mancanza di coraggio nell’affrontare strutturalmente, una volta per tutte, il nodo della necessaria razionalizzazione della spesa pubblica.
Non si tratta infatti solo di ridurre, ma anche di come farlo. Ci sono segmenti sociali e servizi pubblici che non possono cadere sotto la mannaia di indiscriminati tagli lineari, considerati in un passato ancora recente, se non la via giusta ed efficace, di certo la pi๠rapida.
Per altro verso ci sono invece intollerabili sacche di spreco che non sono mai state toccate da alcun provvedimento governativo e che debbono finalmente sgonfiarsi.
Una cosa, insomma, è snellire una burocrazia elefantiaca quanto opprimente, altra cosa è lesinare sulla spesa sociale e la ricerca.
Mi rendo conto dell’anomalia insita in una coalizione resa necessaria dall’emergenza in cui versa il Paese e che ha finito con il dover mettere attorno allo stesso tavolo di governo forze politiche che, invece, si dichiarano da tempo fieramente alternative. Ma appunto un po’ di coraggio in pià¹, anche in questi tempi così prosaici ed aspri, non guasterebbe.
Infatti rinviare, in politica, quasi sempre vuol dire solo tirare a campare.
I tempi impongono invece al premier Letta di elaborare una politica economica finalmente non incentrata solo sulle tasse. Al nostro Paese servono riforme strutturali e la lungimiranza di spostare le risorse pubbliche da un capitolo di spesa ad un altro.
Altrimenti si continuerà  a tirare da una parte e dall’altra una coperta che sarà  sempre troppo corta per coprire le dimensioni di una spesa pubblica che resta sempre troppo larga.
Anche a questo penso si riferisca il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, quando non perde occasione per sottolineare la necessità  di “creare un ponte verso la ripresa dell’attività  economica”.
Ma questo ponte puಠcostruirsi e mantenersi ben saldo solo attraverso l’adozione di strumenti di tassazione pi๠lievi sui consumi, sul lavoro e sulle imprese.
Chiedere invece proprio alle imprese di anticipare allo Stato gli importi necessari a tamponare gli effetti del rinvio dell’aumento dell’Iva non consente, a mio avviso, di fare uscire dall’angolo la nostra economia.
Sono convinto che il primo ministro in carica abbia ben presente tutto questo. Il problema è che Enrico Letta è costretto a muoversi lungo un sentiero molto stretto, delimitato dai vincoli dell’Unione Europea e dalle pulsioni autodistruttive della sua eterogenea maggioranza.
Ma deve muoversi, con tenacia e determinazione. Deve riuscire a farlo, dal momento che il Paese non puಠconsentirsi una perenne paralisi mascherata dal rinvio dei problemi sul tappeto.
Perché rinviare, appunto, non consente di poter efficacemente governare.

 
Dino Perrone
Presidente Nazionale ACAI